Gli Stati uniti d’America invitano gli italiani a votare sì al referendum. L’affermazione degna dei tempi della Guerra Fredda sarebbe una grave ingerenza di potenza straniera amica e alleata, se non fosse ormai ridicola, anche solo l’idea. E persino controproducente per chi l’ha pensata.

A infilarsi ieri nella gaffe planetaria è stato John Phillips, l’ambasciatore Usa a Roma, nel corso di un incontro sulle relazioni transatlantiche organizzato dal Centro studi americani. Il no al referendum, ha spiegato con meraviglioso candore a stelle e strisce, «sarebbe un passo indietro per gli investimenti stranieri in Italia».

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Insomma lo Zio Tom, impegnato nella sfida elettorale mozzafiato Hillary-Trump, ha il tempo di tifare anche Renzi?

Certo è che lo fanno le agenzie di rating (ieri da ultimo un manager di Fitch ha parlato di «shock negativo per l’economia» nel caso di vittoria del no), e infine gli investitori internazionali, ci informa l’ambasciatore.

Palazzo Chigi non sarebbe estraneo all’arrivo dell’endorsement del diplomatico, compreso nel pacco dono del presidente Obama che ha invitato Renzi e signora in una cena di stato alla Casa Bianca il 18 ottobre in occasione della fine del mandato del presidente più amato dagli americani.

Dal punto di vista dell’immagine si tratta di manna dal cielo per l’appannato Renzi, che in quei giorni sarà in piena campagna per il sì (la data del voto però ancora non è stata decisa).

O almeno così la pensano a Palazzo Chigi, che fa trapelare disappunto solo dopo che si scatena il caso. L’ambasciatore Phillips – di origine friulana, i suoi nonni si chiamavano Filippi, ma da emigranti in cerca di integrazione americanizzarono il cognome – è un gran fan di Renzi, amico dell’amico Marco Carrai – le cronache lo segnalano al suo ormai celebre matrimonio -.

Ma Mr. Phillips-Filippi è soprattutto un uomo d’affari: innamorato dell’Italia di un amore non disinteressato. In Toscana nel 2001 ha comprato l’intero Borgo Finocchieto, nel senese, fra le Crete e la Val D’Orcia, pagando un rudere 10 milioni di euro e trasformandolo in un resort di charme con 22 suite a 5 stelle segnalato con gridolini di gioia nelle bibbie del lusso più esclusivo.

Diplomatico di nomina e non di carriera – cosa evidente dallo stile tutt’altro che istituzionale – è quindi riuscito a farsi spedire nella non prestigiosissima sede italiana da Obama, nel 2013, sbaragliando gli altri aspiranti al posto che come lui avevano sostenuto lautamente (cioè in solido) la campagna elettorale del futuro primo presidente nero. Di cui sua moglie era già consigliera.

Il personaggio è pieno di iniziative: non tutte brillanti. Già nel 2014 aveva spiegato che l’Italia non doveva fermare l’acquisto degli F35, facendo imbufalire gli onorevoli nostrani in quel momento impegnati in una discussione in aula sul tema. «L’Italia è una Repubblica parlamentare», aveva replicato il piddino Giampiero Scanu, presidente della Commissione difesa.

L’eccesso di entusiasmo per Renzi qualche volta ha finito per mettere in imbarazzo lo stesso premier italiano. Come quando su Repubblica per fargli un complimento spiegò che Matteo era così bravo che gli ricordava Reagan. Che però non era un presidente democratico.

L’ultima gaffe invece la consegnò a un’intervista del Corriere della sera, quando informò che in un (presunto) imminente intervento in Libia «l’Italia potrà fornire fino a circa 5mila militari». Stavolta l’amico Renzi deve smentire («Non è un videogioco») e l’ambasciatore aggiustare, spiegare, insomma rettificare.

Ieri il suo endorsement per il sì al referendum a nome del popolo americano ha fatto imbufalire le opposizioni, da sinistra a destra.

Allibito l’ex segretario del Pd Pierluigi Bersani: «Sono cose da non credere… Ma per chi ci prendono?». Di «ingerenza grave» parla anche Gianni Cuperlo (sempre del Pd). Gli fa eco il pentastellato Alessandro Di Battista: «Siamo alleati, non sudditi».

Forza Italia ha portato addirittura il caso nell’aula della Camera: per «stigmatizzare le parole singolari dell’ambasciatore Philips», ha detto Elio Vito. Si sono lasciati andare a dichiarazioni “antiamerikane” anche il leghista Calderoli e l’ex missino Alemanno.

Stavolta, nonostante il silenzio imbarazzato del Dipartimento di Stato, l’ambasciatore ha confermato tutto. Felice di aver fatto un regalo al best friend Matteo.

Ma è davvero un regalo? Gli endorsement stranieri fin qui non hanno portato bene agli “endorsati”. Stuzzicano i sentimenti di indipendenza, insomma i cittadini non gradiscono.

Nell’estate 2015 Angela Merkel e Matteo Renzi «consigliarono» ai greci il sì al referendum proposto da Tsipras (che invitava a votare no). Pena, la fine del mondo.

Nell’aprile dell’anno dopo, e cioè di quest’anno, Obama addirittura volò a Londra da Cameron per sostenerlo nella sua battaglia «No Brexit». Com’è andata, in entrambi i casi, è noto. Male. Almeno per loro.