Sono due ragazze le vittime di violenza balzate in questi giorni al centro delle cronache. Una, Gessica Notaro, è stata sfregiata con l’acido dal suo ex, Edson Jorge Tavares, all’altra, Ylenia Bonavera, l’aggressore – secondo gli inquirenti il suo ex-fidanzato Alessio Mantineo – ha dato fuoco. Entrambe sono salve.

Gessica vive a Rimini, ha 28 anni, è stata miss Romagna, lavora nel delfinario della città. L’acido in verità non viene usato per togliere la vita, si punta a togliere il bene prezioso della bellezza. Gessica potrebbe perdere la vista e difficilmente riavrà il suo bel sorriso e dovrà affrontare un calvario di operazioni, come Lucia Annibali.

Ylenia vive a Messina, ha 22 anni, e l’unica definizione ricorrente, per lei, è «ragazza». Non si parla di studi o lavoro. In effetti è lei che ha corso il rischio più grave, è stata brava, dicono gli inquirenti, a togliersi velocemente di dosso gli abiti in fiamme. Così ha solo, si fa per dire, il 13% di ustioni. Essersi salvata ha forse confuso le idee di Ylenia. Che prima ha accusato il suo ex, poi lo ha scagionato. Con ostinazione. Nonostante la madre inveisca contro di lui, per difenderlo ha accettato di collegarsi dall’ospedale alla trasmissione di Barbara D’Urso, Pomeriggio 5, dove è successo praticamente di tutto. Compresa una sospensione della trasmissione, perché madre e figlia si strappavano il microfono vicendevolmente. Dopo, a trasmissione chiusa, se le sono suonate. Che è successo allora, che la sensibilizzazione contro la violenza maschile sulle donne affonda inesorabilmente nella trash tv? O anche, che non c’è nulla da fare, che le donne sono complici degli uomini che le maltrattano e bisogna lasciarle al loro destino? E che il richiamo di Barbara D’Urso agli uomini che lo fanno per amore, distrugge decenni di lavoro volti a convincere le donne a non “amare troppo”?

Eppure quadri del genere non sono insoliti, al di là dall’inevitabile messa in scena che la tv genere D’Urso alimenta, proprio perché di questo vive, e di rapporti evidentemente difficili tra madre e figlia. Succede spesso che le donne che arrivano ai centri anti-violenza accusino, ma anche no. Ci vuole tempo, per convincersi, per trovarne la forza definitiva. Vogliono liberarsi di una tirannia, ma non ne sono certe. L’uomo che le mena, che le terrorizza è uno che hanno amato, di solito, e da cui credevano di essere amate. Non uno che le ha prese prigioniere con la forza, allora tutto sarebbe semplice. È la verità paradossale delle relazioni tra uomini e donne ai tempi del patriarcato. Una trappola micidiale, una miscela difficile da sciogliere per chi ci si trova invischiata. Certo, è imperdonabile avvallare ancora oggi l’idea che si tratti di passione travolgente, altro paradosso è che sia la polizia ad accusare l’ex, mentre lei lo difende. In una specie di coalizione anti-autorità.

Ma non si dovrebbe esserne troppo turbati. La violenza maschile attraversa luoghi, classi sociali, religioni, gruppi di appartenenza. Esserne vittime non rende migliori di per sé, e non si sceglie per chi combattere. La violenza accade dentro quella singola storia, storie che vanno indagate, una per una, curioso non sapere nulla della vita di Ylenia. È inquietante il dispositivo mediatico che si mobilita sull’empatia. Ylenia è anticlimax, non ha giocato la parte che le era stata assegnata, per questo non ci si occupa più di lei? E tutta la tensione sulla violenza si sgonfia? Come si legge nei social? Per fortuna le femministe non ci cascano. In attesa dello sciopero delle donne, l’8 marzo, si prepara il piano antiviolenza. Per tutte.