Semplici cittadini, donne, pensionati, giovani, hanno manifestato ieri a Odessa per ricordare la strage del Campo Kulikov e della Casa dei sindacati, in cui, per mano di Pravyj sektor, il 2 maggio 2014 furono uccisi 48 odessini (questa la cifra ufficiale; ma si parla di oltre 100, molti bruciati vivi all’interno della Casa dei sindacati) che avevano allestito tende e gazebo per chiedere la federalizzazione dell’Ucraina, il riconoscimento della lingua russa e per protestare contro il colpo di stato con cui, nel febbraio precedente, era stato deposto il legittimo presidente Viktor Janukovič. Ieri i manifestanti hanno marciato con manifesti “il fascismo non passerà” e con ritratti del deputato Oleg Kalashnikov e del giornalista Oles Buzina, assassinati meno di un mese fa.

Profughi ucraini in Russia, parenti, amici, compagni di partito delle vittime della tragedia di Odessa si sono riuniti ieri anche in molte città russe e a Mosca, di fronte all’ambasciata ucraina. Ma i funzionari ucraini hanno bellamente ignorato il meeting: era giorno di riposo. A Kiev invece – dove si è svolta una analoga manifestazione – il deputato della Rada per il Partito radicale, Igor Mosijčuk, ha fatto sentire la propria voce per dire che il 2 maggio 2014 è una giornata memorabile per Odessa. In quel giorno, ha scritto su facebook “i patrioti ucraini difesero Odessa ucraina dagli occupanti e dai collaborazionisti. I patrioti ripulirono la nostra Odessa dal male e la trasformarono in una piazzaforte ucraina sul Mar Nero. Questa fu la prima battaglia vittoriosa sul nemico secolare”.

Già il giorno successivo a quel 2 maggio 2014, su diversi canali televisivi internazionali, si potevano vedere quei «patrioti» sparare alle finestre cui si affacciavano in cerca di aiuto quanti erano asserragliati all’interno della Casa dei sindacati. Coloro che vi si erano rifugiati per tentare di sfuggire all’assalto della tendopoli da parte delle bande neonaziste di Pravyj sektor, trovavano così la morte alle finestre, freddati dai colpi di pistola e di fucile, o bruciavano vivi nell’incendio sviluppatosi all’interno per il lancio dei cocktail molotov da parte dei «patrioti», oppure, se sopravvivevano alla caduta dal secondo o terzo piano, venivano abbattuti a bastonate in quella «prima battaglia vittoriosa».

Eppure, nonostante i filmati delle televisioni straniere, nonostante i video amatoriali che a decine hanno testimoniato l’entità della strage e gli autori, il tribunale supremo ucraino non ha trovato sinora migliore capro espiatorio del «forte vento» che quel giorno avrebbe contribuito ad alimentare le fiamme all’interno della Casa dei sindacati.

Inascoltata è rimasta anche la richiesta della Ue a Kiev di condurre un’indagine della strage ed è morta sul nascere (strangolata dalla necessaria alleanza di guerra coi battaglioni neonazisti) la «promessa» fatta dal premier Jatsenjuk di fare luce sulle responsabilità. Ma tutto sembra rimasto a livello di interrogazione o di impegno: così come molti media occidentali circondano ancora di aureole romantiche i «volontari» che, dopo Odessa, hanno continuato a far strage di civili nel Donbass, allo stesso modo si evita di ricordare quelle loro prime gesta «patriottiche», con cui si aprì in Ucraina la stagione del terrorismo di stato contro chi si opponeva alla svolta reazionaria.

Ieri il responsabile russo per i diritti dell’uomo, Konstantin Dolgov, ha detto che «la comunità internazionale, in particolare Ue e Usa, dovrebbe cessare di proteggere il potere ucraino e i suoi elementi radicali e, invece, deve spronare Kiev a un’indagine seria, che assicuri la giustizia». Il leader della Repubblica di Donetsk Aleksandr Zakharcenko, ha detto che «quel giorno noi, come tutti gli abitanti di Odessa, capimmo che il paese chiamato Ucraina non esiste più; per noi essa è morta insieme alle decine di martiri odessini».

Quanto il regime ucraino sia lontano dalla volontà di far luce sulla strage di Odessa e quanto invece prosegua nella fascistizzazione, lo testimonia anche il fermo, ieri l’altro, all’aeroporto di Kiev del giornalista Franco Fracassi, tra i fondatori del sito Popoff. Per aver scritto articoli «che hanno leso l’immagine dell’Ucraina», a Fracassi è stato proibito di prendere l’aereo per Odessa, trattenuto per alcune ore in camera di sicurezza e liberato solo con l’intervento del consolato italiano, Fracassi è stato espulso come «persona non grata».