Diventato famoso in tuto il mondo, il festival del cinema muto di Pordenone 34a edizione si apre come uno scrigno del tesoro il 3 ottebre fino all’11, con un vastissimo programma di cui qui si può dare solo qualche indicazione. Nato nel 1989 da una rassegna di Cinemazero, diretto da Davide Turconi fino al 1989, Le Giornate del cinema muto sono state dirette dal ’96 dallo storico inglese David Robinson che passerà il prossimo anno il testimone al critico newyorkese Jay Weissberg.
Si inaugura con Romeo und Julia im schnee di Ernst Lubitsch,1920) un Romeo e Giulietta tra le nevi della Baviera con Lotte Neumann che poi diventerà sceneggiatrice e produttrice. Ogni opera presentata a Pordenone fa riemergere preziosi elementi di storia (non solo del cinema) come in Maciste Alpino, nella serata inaugurale che si inserisce nelle celebrazioni della Prima guerra mondiale il film realizzato nel 1916 quando la guerra non era ancora finita, interpretato da Bartolomeo Pagano, l’amato eroe popolare Maciste, che qui combatte il nemico prendendolo a calci, film di propaganda con il compito di galvanizzare lo spirito bellico in affanno per la lunga durata del conflitto. Maciste alpino è stato recentemente restaurato dal Museo Nazionale del Cinema di Torino con la Biennale di Venezia. E una piccola retrospettiva è dedicat ad altri due uomini forzuti, Luciano Albertini (lui la guerra la fece davvero) culturista e circense di Lugo, Spartaco, Sansone e Frankenstein e Carlo Aldini, «il più celebre ladro del mondo»
Due eventi – maratona aprono e chiudono il festival: il 7 ottobre I miserabili, (1925) sei ore di durata, restaurato da CNC, Cinémathèque de Toulouse, Pathé e Fondation Jérome Seydoux Pathé con l’accompagnamento dal vivo di Neil Brand. Evento di chiusura sarà il grande classico dell’horror Il fantasma dell’opera di Rupert Julian (1925) con Lon Chaney, «l’uomo dai mille volti» in una copia restaurata da Photoplay, con scene originali a colori, con la musica di Carl Davis eseguita dall’Orchestra San Marco di Pordenone diretta dal Maestro Mark Fitz-Gerald.
Uno degli appuntamenti più attesi, il 9 ottobre, è la presentazione del rullo scomparso di The Battle of the Century (La battaglia del secolo, 1927), secondo film di Stan Laurel e Oliver Hardy dopo la celebre commedia scozzese Putting Pants on Philip. Della Battaglia del secolo, considerata da Henry Miller «il più grande film comico mai girato», si conoscevano solo dieci minuti fino a quando lo scorso marzo Jon Mirsalis celebre compositore e accompagnatore al piano di film muti, studioso in particolare della vita di Lon Chaney, ha scoperto il secondo rullo, considerato perduto, contenenti proprio i dieci minuti della «battaglia» del titolo che si combatte con torte in faccia (se ne usarono in questo film più di tremila) senza esclusione di colpi coinvolgendo un numero crescente di persone. Dal lontano prototipo del «pie face» di Ben Turpin in Mr Flip del 1909 (la commessa di una pasticceria insidiata gli spiaccica la torta in faccia) The Battle è il punto di arrivo di un tipo di comicità catastrofica messa a punto da Laurel & Hardy che si ripeterà anche in altri film successivi per scomparire poi con il sonoro. Oliver Hardy è il manager di un pugile (Stan Laurel) decisamente scarso tanto da farsi stipulare una polizza per un probabile infortunio che invece non avviene. Hardy decide allora di intervenire con una buccia di banana, ma a scivolare invece di Stan sarà il garzone di un pasticciere che esce dal suo negozio dando il via per strada alla infernale baraonda. La versione completa di The Battle of the Century (mancano solo alcuni frammenti del primo rullo, ma si ritroveranno anche quelli) sarà presentata al festival di Londra che inizia in questi giorni.
Gli anni venti e trenta vedono il fiorire delle «sinfonie della città», dove il ritmo del montaggio evoca la frenesia delle nuove metropoli con il lavoro, le vertiginose costruzioni, la vita notturna illuminata dalla luce elettrica e dove si concentravano non solo le novità del secolo, ma anche le nuove tecniche cinematografiche. Oltre ai celebri prototipi del genere Berlin, Symphonie einer Großstadt (Sinfonia di una grande città, 1927) di Walther Ruttmann e Chelovek s kinoapparatom (L’uomo con la macchina da presa, 1929) di Dziga Vertov, ci sono anche tante (circa una sessantina tra il 1920 e il 1940) tra cui Rien que les heures (1926) di Alberto Cavalcanti e Manhatta (1921) di Paul Strand e Charles Sheeler, Regen (Pioggia, 1929) di Joris Ivens e Mannus Franken e À propos de Nice (1930) di Jean Vigo. «Altre sinfonie della città» si intitola una sezione del festival che comprende tra l’altro anche il film di Manoel de Oliveira Douro, Faina Fluvial, (1931), e Praga (Zijeme v Praze (1934, Viviamo a Praga) di Otakar Vavra, il maestro dei registi della nova vlna praghese. È storicamente affascinante il gioco delle citazioni di questo film da parte di alcuni componenti celebri come Menzel che farà poi arrivare in cima alla ciminiera i protagonisti di Ritagli (1980) laddove Vavra si limita a filmare l’inizio dell’ascesa, come a completare un percorso artistico, o la scritta lampeggiante «Automat» della tavola calda che torna nell’episodio di Chytilova (Automat Svet) nel film manifesto collettivo, proibito Perline nel fondo. Praga negli anni venti, grande metropoli industriale barocca e insieme razionalista, elegante e ricca di umanità da cogliere nei suoi diversi aspetti, gioia di vivere, humour in un incessante ritmo vitale.
Quando incontrammo per la prima volta Manoel de Oliveira che presentava Francisca (1981) era famoso più come corridore automobilistico che come regista e di questo parlammo per lo più e del suo cortometraggio Douro con cui aveva esordito, ventenne appassionato di cinema, una passione condivisa con il padre industriale, il primo a fabbricare in Portogallo lampade e prodotti idroelettrici e che gli regalò una cinepresa (35 mm), Lui si ispirò proprio dal film su Berlino di Ruttmann per raccontare il suo porto fluviale. La cinepresa sembra volare tra le strutture di ferro dei ponti, compone le dinamiche dei movimenti, parla dei lavoratori del fiume, come dice il titolo (faina fluvial) secondo un montaggio dal ritmo musicale. Lo presenta al Congresso della critica a Lisbona nel 1931 (e sarà osteggiato nel paese per aver mostrato la condizione dei poveri lavoratori, proprio come faranno da noi in seguito con il neorealismo), ma sarà notato e apprezzato da Pirandello.
E poi ancora altre sezioni come la commedia sovietica, un omaggio a Bert Williams, una sezione dedicata a «Bambini al lavoro» dove si mostrano bambini attori che interpretano piccoli lavoratori (dalla collezione Desmet dell’Eye di Amsterdam).
Di Victor Fleming di cui diamo qui accanto una anticipazione dal programma , californiano operatore dei film di Douglas Fairbanks e di parecchi film di Allan Dwan, oltre che operatore personale del presidente Wilson alla conferenza di pace di Versailles, diventato poi celebre regista con Il virginiano con Gary Cooper (’29), L’isola del tesoro, Capitani coraggiosi, Tentazione bionda, Il mago di Oz, Via col vento, Dr. Jeckyll and Mr. Hyde, fino a una poco credibile Giovanna d’Arco interpretata da Ingrid Bergman. A Pordenone è in programma il suo «periodo muto».