Dopo le stragi, destre e populismi sfruttano paura e allarme securitari. Parlarne come di un «pompiere piromane» suonerebbe perfino riduttivo, quasi un delicato eufemismo.

Se l’opinione pubblica europea è inquieta di fronte all’impasse che sembra far registrare l’inchiesta sulle stragi di Parigi, dovrebbe esserlo ancor di più sapendo che a gestire l’emergenza di Bruxelles, non a caso subito trasformata in una sorta di stato d’eccezione permanente, è un personaggio come il ministro degli Interni e vicepremier belga, Jan Jambon.
Figura di primo piano della Nuova alleanza fiamminga, partito etnico e anti-immigrati, ma in cerca di legittimità democratica, maggioritario nelle Fiandre e determinante nella coalizione di centrodestra che guida il Belgio, Jambon è cresciuto nell’estrema destra e ha sostenuto in passato Jean Marie Le Pen come il Sint-Maartensfonds, l’associazione che riunisce gli ex collaborazionisti con l’occupante nazista.

In seno al governo, già prima dell’attacco jihadista, ha trasformato il suo incarico in una platea per la propaganda contro rifugiati, immigrati e «stranieri» in generale, mentre oggi annuncia di voler andare personalmente «a fare pulizia a Molenbeek», il quartiere di Bruxelles da cui venivano alcuni dei terroristi di Parigi.
Da questo punto di vista, se non è ancora chiaro del tutto quale clima internazionale scaturirà dalla tragedia di Parigi, è però già certo che saranno soprattutto l’estrema destra e i populismi identitari e xenofobi a trarne vantaggio sul piano politico, alimentando un pericoloso corto circuito tra l’inquietudine reale della popolazione e l’evocazione di una sorta di quinta colonna del nemico nascosta tra gli immigrati, in particolare musulmani.

Così, in Germania, Pegida ha chiamato subito a raccolta circa 10mila militanti nella sua roccaforte di Dresda, con lo slogan «gli jihadisti sono arrivati grazie a chi ha aperto le frontiere a rifugiati e immigrati».

Per Siegfried Daebritz, che ha preso la parola al posto del fondatore del movimento anti-islamico Lutz Bachmann, «la cancelliera Merkel è complice della morte di 130 innocenti e dei futuri omicidi che l’Isis compirà in Europa: è lei che ha invitato questi criminali in Europa, con la scusa dei profughi». Toni simili, appena un po’ sfumati hanno tenuto anche i rappresentanti dell’Alternative für Deutschland, ma la cancelliera ha subito pesanti critiche anche dai suoi alleati di governo della Csu bavarese.

Nel frattempo, dall’Olanda, il leader della destra islamofoba Geert Wilders, che vanta sostenitori in Australia come negli Stati Uniti, ha scritto al New York Times per denunciare come «dopo Parigi si è ampliato lo scarto tra le élite politiche e i popoli europei, da tempo preoccupati dell’arrivo di così tanti immigrati» e per chiedere che si svolgano subito elezioni anticipate nel suo paese, che il suo Partito della libertà sarebbe oggi in grado di vincere.

Ad Est, il premier ungherese Viktor Orbán, è stato il primo ad intervenire subito dopo le stragi, denunciando come i terroristi «abbiano sfruttato l’immigrazione di massa e chi l’ha resa possibile».

A ruota è arrivato Konrad Szymanski, esponente di Diritto e giustizia, partito trionfatore delle recenti elezioni polacche, e ministro in pectore degli affari europei che ha ammonito sul fatto che il suo paese «potrà accogliere i rifugiati solo se avrà delle garanzie certe in termini di sicurezza». E, a segnalare quanto monti da queste parti il rifiuto nei confronti della società multiculturale dell’Europa occidentale, sulla stessa linea si è espresso anche il premier slovacco di centro-sinistra, Robert Fico.

Naturalmente è però la Francia il paese in cui gli effetti di questo clima rischiano di farsi sentire di più e più rapidamente. Apertasi ufficialmente lunedì, la campagna per le elezioni regionali che si svolgeranno il 6 e il 13 dicembre nel paese, appare dominata dai fatti di Parigi.

«L’inquietudine di fronte agli attentati rafforza il Front National» titolava ieri Le Monde dando conto di un sondaggio che vede i candidati dell’estrema destra crescere nelle intenzioni di voto (Marion Maréchal-Le Pen è stimata al 40% in Provence-Alpes-Côte d’Azur; Marine Le Pen al 33% nel Nord-Pas-de-Calais-Picardie; Wallerand de Saint-Just al 22% nell’Ile-de-France).
Inaugurando il suo tour elettorale ad Amiens, la stessa Le Pen ha sottolineato come «dopo gli attentati questa campagna è cambiata, in ballo non c’è più soltanto il governo delle regioni, ma il futuro del paese».

La leader frontista ha ripreso i tradizionali toni violenti contro l’immigrazione di massa e il «salafismo», ma senza perdere una certa sobrietà di fondo, profilo che si è data all’indomani delle stragi. Del resto, è il contesto che sembra giocare a suo favore.

Molte delle sue proposte, dal ritiro della nazionalità francese ai terroristi, al ristabilimento dei controlli alle frontiere, fino alla richiesta che gli agenti portino con sé le armi anche quando non sono in servizio, sono state riprese e messe in atto dal governo di centrosinistra.

Questo, mentre nelle fila della destra repubblicana è partita una sorta di escalation di dichiarazioni muscolari tra i tre candidati alle primarie per le elezioni presidenziali del 2017, Sarkozy, Juppé e Fillon. Anche se il primo premio, lo ha già vinto l’esponente dei Republicains Laurent Wauquiez, candidato nella regione di Lione, che nei giorni scorsi non ha esitato ad affermare in tv che «tra sicurezza e libertà non ho dubbi, scelgo la sicurezza».