Le notizie che arrivano da Berlino rimbalzano nel Salone de’ Cinquecento di Palazzo Vecchio, che ospita l’assemblea parlamentare della Nato del gruppo speciale Mediterraneo e Medio Oriente. Ci sono i delegati dei 28 paesi dell’alleanza atlantica, e quelli di altri dodici stati associati. A tutti, nell’intervento di apertura della due giorni, Pietro Grasso lancia un monito: “Un intervento militare non basterà per sconfiggere lo stato islamico e il terrorismo, serviranno almeno tre linee di azione”.
Il presidente del Senato è netto: “Tutti i nostri paesi condividono la precisa responsabilità di non avere saputo predisporre credibili strategie e politiche comuni per influire sul corso degli eventi. Per risparmiare morti, sofferenza, crisi economica, instabilità. E ci sono stati gravi errori di calcolo da parte di chi ha sostenuto milizie varie, perdendone spesso il controllo”. Per Grasso quindi l’unico modo per sconfiggere Daesh passa “dal rafforzare il governo in Iraq, e mettere fine alla guerra civile in Siria, con un profondo impegno diplomatico”.
Non sfugge infine a Grasso il concreto rischio di un pericolosissimo corto circuito: “Deve essere rigettata la logica dello scontro di civiltà, e va respinta l’equazione rifugiati uguale terroristi”. Piuttosto “occorre mettere in campo contro gli affari illeciti dei terroristi l’armamentario giuridico e operativo sviluppato per colpire la criminalità organizzata transnazionale. In questo senso sarà necessario rafforzare la cooperazione giudiziaria, investigativa e informativa”. Per contrastare, più efficacemente di quanto non accada oggi, i traffici di armi, di droga e di uomini che ingrassano le centrali del terrore.
Un richiamo alle parole di Grasso arriva da Andrea Manciulli, relatore generale e presidente della delegazione italiana: “Il confronto militare, per quanto essenziale, non è sufficiente. È necessario interrompere i flussi economici finanziari che alimentano l’Is, e l’intelligence ‘track the money’ gioca al riguardo un ruolo preminente. Occorre poi creare nelle popolazioni nei paesi più esposti il senso di convincimento che il legittimo stato sovrano sia in grado di garantire la sicurezza, la pace sociale e il soddisfacimento dei bisogni primari”.
Nel summit interverranno oggi anche i ministri della difesa Roberta Pinotti e degli esteri Paolo Gentiloni. Nel pomeriggio ha preso invece la parola Angelino Alfano. Il titolare del Viminale ha avuto un approccio molto securitario. Al tempo stesso è tornato – lui che all’epoca faceva parte del governo Berlusconi – sulla sciagurata decisione di intervenire militarmente in Libia: “Vogliamo sapere se la Siria diventa una Libia bis – ha esordito – oppure se c’è un quadro, un piano chiaro per il dopo, prima di cominciare”.
A chi gli chiedeva se l’Italia si unirà a Francia e Germania, il ministro dell’interno ha risposto che la posizione dell’Italia è chiara: “Noi portiamo addosso ancora le cicatrici della vicenda libica. Si è fatta la fase uno, cioè mandare a casa, anzi al camposanto Gheddafi, poi non si è fatta la fase due di ricostruzione. E noi abbiamo pagato il conto dell’immigrazione, perché oltre il 90% degli sbarchi viene dalla Libia”. Al tempo stesso Alfano, nel chiamare a una collaborazione fra paesi, ha avvertito: “Lottare per la nostra sicurezza significa lottare per la nostra libertà, ma per ottenere la sicurezza dobbiamo forse violare un po’ la privacy, che è libertà. Per garantire un pezzo di libertà si deve sacrificarne un altro. Non c’è soluzione alternativa”. Questo non vuol dire però, ha osservato il sottosegretario alla presidenza del consiglio Marco Minniti, toccare la circolazione delle persone all’interno della Ue: “Difendiamo Schengen a tutti i costi, e per farlo aumentiamo i controlli alle frontiere esterne”.