Per Atene passano vie che conducono ai grandi e irrisolti problemi che la crisi delle società, nelle quali viviamo, ci pongono quotidianamente di fronte. Una di queste investe più direttamente chi pensa che una condizione necessaria per poterli affrontare sia quella di contrastare e sconfiggere le politiche di austerità e quella di mettere in discussione l’assetto oligarchico dell’Europa.

La Grecia ci ha provato, ma l’ordine che regna nell’Europa reale pare essersi imposto. Il manifesto consentirà il riuso di un suo titolo famoso “Atene è sola”. Qui sta il dramma delle forze del cambiamento in Europa. Le manifestazioni di solidarietà sono necessarie ed apprezzabili, ma non cambiano il quadro.

La contesa è stata tra il governo greco, da un lato, ed il governo dell’Europa reale, dall’altro, senza che in questa fosse operato o si aprisse un conflitto forte ed esteso contro le sua politiche. Il fatto che a Tsipras e ai suoi non si possa rimproverare alcunché aggrava la questione. Il governo greco ha provato a realizzare un’impresa pressoché impossibile. La sua condotta è stata tanto efficace da averci persino indotti, in qualche passaggio cruciale, a credere (contro l’analisi di cosa sia materialmente quest’Europa) che ce l’avrebbe fatta. Questo qualcosa è così prezioso per il futuro di tutti, anche ora che il tentativo è stato sconfitto, da dover continuare a riflettere su di esso.

L’Europa reale, che pretendeva di aver espulso da sé, in nome dell’ineluttabilità delle sue scelte strategiche, la politica, come autonoma capacità di scelta, se la vede improvvisamente parare davanti con la vittoria elettorale di Syriza e la nascita di un governo che pretende di tenere fede al mandato ricevuto dagli elettori, come se questo cardine della democrazia rappresentativa non fosse ormai abrogato in tutti i paesi europei ove, con il voto, si può scegliere il governo, ma non le sue politiche, giacché queste sono predeterminate dal sistema economico in costruzione. Perché il governo greco può tentare l’impossibile? Perché si fonda su un’esperienza politica straordinaria. Syriza assume pienamente il conflitto tra il basso e l’alto della società, organizza mutualità, cooperazione sociale, promuove una partecipazione democratica nell’organizzazione del partito, stabilisce un rapporto di scambio permanete con i movimenti di lotta, e vede emergere, al suo interno, un leader e una leadership che interpretano politicamente il bisogno di una rottura radicale con tutto il passato.

Syriza si da un programma di governo alternativo alla politiche di austerità e che ha le sue fondamenta nel soddisfacimento dei bisogni prioritari della popolazione greca. Perciò può tentare l’impossibile. Ma un’iniezione di democrazia nella costituzione materiale di questa Europa è incompatibile con essa stessa quanto l’uscita dalle politiche di austerità (che sono micidiali politiche di destrutturazione e di desoggettivazione del lavoro).

L’iniziativa greca ha sospeso la Troika, ma la controparte rappresentante del governo europeo che l’ha sostituito, ha rivelato che la vittoria del funzionalismo sulla democrazia rappresentativa si è già realizzato in Europa. Todos caballeros. I governi e i governati devono appartenere alla specie del pensiero unico e tendenziale diventare parti di un governo unico, sovrannazionale ed articolato, ma nella sostanza unitario. Ai governi nazionali è richiesto di essere proconsoli del governo centrale, governo costituito saldamente dalla Commissione europea, dalla Banca centrale europea e dal Fondo monetario internazionale. Lo scandalo causato dal governo greco è consistito nel far vivere, in questo ordine oligarchico, il mandato ricevuto dal suo popolo. Lo scandalo ha denudato il re ma la debolezza dei sudditi (noi europei) lo ha lasciato sul trono.

All’emersione della politica come possibilità di scelta provocata dal governo di Tsipras, quest’Europa ha risposto con la politica della conservazione del potere. Poteva perciò contare poco che la Grecia fosse una parte così piccola dell’Europa da essere ininfluente sui suoi destini economici. Così come poteva contare ancora meno che il suo debito potesse essere agevolmente ristrutturato. Quel che andava dimostrato è che nessuno può derogare alla Regola: non già quella del debito (altrimenti flessibile) bensì quella della compatibilità richiesta tra le politiche di un qualsiasi governo europeo e l’ordine economico promosso dal nuovo capitalismo, ordine adottato e garantito dal governo reale di quest’Europa. Non si era mai vista una trattativa così squilibrata nei rapporti di forza come quella tra il governo greco e quello europeo. Solo una mobilitazione dei popoli europei, o meglio un’accumulazione di forze ed esperienze, di lotte sociali nei diversi paesi europei, avrebbe potuto colmare lo squilibrio. Non c’era e non c’è stata. Al contrario qualcosa di molto pesante è avvenuto nelle forze di governo.

Non vorrei che quel che è accaduto sembrasse scontato. Non vorrei che il giudizio severamente negativo che molti di noi hanno su di essi, oscurasse il passaggio storico che è avvenuto in questa vicenda. Certo, non si può dire, per senso delle proporzioni, che la prima socialdemocrazia, muore sui crediti di guerra e l’ultima muore scegliendo di stare dalla parte dei paesi creditori. Ma che la Troika non abbia trovato un solo governo a contrastarla e neppure a differenziarsi da essa è un’enormità. La socialdemocrazia tedesca, i socialisti francesi, il partito di Renzi, e più in generale i centrosinistra hanno portato a termine, con i propri governi, la propria definitiva mutazione genetica. Con essa è morta in Europa ogni ipotesi socialdemocratica e sono usciti definitivamente di scena, nella vergogna, tutti i vari centrosinistra.

La solitudine di Atene tocca anche noi. Tocca anche tutto il campo, variegato e diviso, delle forze critiche. Non è questa la sede per un ragionamento sulla sinistra di alternativa in Europa e sui movimenti, ma quel che non può sfuggire è però la constatazione drammatica di un’impotenza. Per rilevarla, basti solo il confronto con una precedente vicenda che pure ha riguardato il formarsi della costituzione materiale europea, quello della direttiva Bolkestein. Allora si rifletteva criticamente sul livello di iniziative e di mobilitazione in atto; eppure esse furono incomparabilmente superiori a quelle d’oggi e furono capaci di influire sul vittorioso referendum francese contro il Trattato.

“Atene sola” ci dovrebbe costringere a riflettere criticamente, coraggiosamente e in un campo largo di forze che oggi ancora non sono attive ma che potrebbero esserlo domani, sul nostro destino. Il rischio è che il conflitto in essere tra l’alto e il basso della società diventi, nei diversi paesi la contesa esclusiva tra il campo del governo e il campo delle opposizioni populiste, dei populismi. Ma anche in questo caso, molti ci insegnano che le propensioni populiste possono dar vita a soggettività sociali e politiche radicalmente diverse tra loro. Se qualcosa Syriza continua a dirci, anche con l’appello al voto del suo popolo è che nel conflitto tra l’alto e il basso della società, una forza di cambiamento nasce e vive, oggi, solo scegliendo di stare radicalmente su quest’ultimo versante e solo se lo sa agire sul suo terreno di scontro che è quello del proprio paese ma ormai inesorabilmente anche dell’Europa intera.

Il luogo di vocazione della rinascita di un’alternativa, come ci insegna Syriza ma anche Podemos e come ci testimoniano tutti i movimenti di nuova generazione, è diventata la piazza, una piazza che, a intendersi, si può anche chiamare rivolta. Sostenere le ragioni del “NO” di Syriza al referendum di domenica prossima è sacrosanto, ma per stare davvero dalla parte di Syriza, in Europa, non basta la solidarietà.