Per carità, siamo sempre il paese in cui un presidente del Consiglio in carica poteva affermare che «la Corte costituzionale è un organo politico di sinistra». Era Silvio Berlusconi e Matteo Renzi non ha detto ufficialmente nulla del genere. Tutt’al più dopo la sentenza della Consulta sulle pensioni si è sfogato nei retroscena dei giornali amici: «Verdetto politico a orologeria». Molto di più ha detto ieri Pier Carlo Padoan,, ministro «tecnico» chiamato a tamponare il buco delle pensioni. «Se ci sono sentenze che hanno un’implicazione di finanza pubblica, dev’esserci una valutazione dell’impatto», ha detto il ministro dell’economia in un’intervista a Repubblica. Aggiungendo un invito «a cooperare tra organi dello stato indipendenti, Corte, ministri e avvocatura» e una minacciosa preterizione: «Non dico ovviamente che bisogna interagire nella fase di formulazione della sentenza…».
Ha detto comunque abbastanza il ministro, tanto che ha sentito il dovere di intervenire direttamente il presidente del Consiglio: «Lavoriamo nel massimo rispetto e raccordo istituzionale, abbiamo rispettato la sentenza della Corte costituzionale», ha precisato, trovando così il modo per parlare bene del decreto che ha rimborsato i pensionati solo parzialmente. Contro la sentenza Renzi ha promesso di non dire nulla, almeno ufficialmente. Anche se in passato non ha avuto scrupoli nell’attaccare i giudici. Tanto da essere stato tra i pochi che criticarono la sentenza con cui la Consulta condannò la vecchia legge elettorale (e per questa via depotenziò la minaccia di elezioni anticipate). Una sentenza, disse allora Renzi, «sorprendente, non ne capisco la razionalità. O i giudici hanno il senso dell’umorismo o non so cosa pensare».

Ma poi è stato proprio Renzi a volere al Quirinale un giudice di quella Corte costituzionale, e a Sergio Mattarella ieri si è rivolto il capogruppo dei deputati berlusconiani Renato Brunetta chiedendo un intervento per difendere i giudici dalle critiche di Padoan. Interveniva, altrochè Giorgio Napolitano per proteggere la Consulta dagli attacchi sguaiati di Berlusconi, e interveniva anche l’Associazione magistrati. Adesso gli argomenti del ministro dell’economia non suscitano uno scandalo paragonabile, tutt’al più qualche dichiarazione polemica. Dopo Brunetta i più duri sono i deputati del Movimento 5 Stelle, che definiscono le parole di Padoan «una bestemmia istituzionale», «ennesima dimostrazione dell’arroganza di un esecutivo che ha una visione padronale del paese». Mentre la segretaria della Cgil Susanna Camusso ha sì polemicamente ricordato al ministro che «la Consulta non è un ufficio del ministero dell’economia», ma ha poi aggiunto che «non vive in una campana di vetro» e «una critica gliela si può rivolgere».

La sentenza sulle pensioni e ancor di più il modo in cui è stata accolta dal governo segnano comunque un punto di passaggio nei rapporti tra la Consulta e l’esecutivo. E forse non solo, visto che nell’intervista di Padoan il riferimento all’Avvocatura non è casuale ma diretto all’avvocata dello stato Giuseppina Noviello, colpevole di aver espresso su twitter giudizi anti renziani e per questo sospettata di non aver difeso adeguatamente la legge Fornero davanti allo Corte. Come reazione alle critiche del governo, i giudici delle leggi – in maniera del tutto irrituale – hanno cominciato a dichiarare le loro scelte di voto all’interno di quella che dovrebbe restare la segretissima camera di consiglio. Prima il giudice Amato (contrario alla sentenza) poi il presidente Criscuolo (favorevole) in diverse dichiarazioni alla stampa. Da settimane i rumors parlano di una Corte sulla difensiva nei confronti di un altro delicato dossier, l’eventuale incostituzionalità della legge elettorale per le europee, discussa in udienza il 14 aprile ma non ancora decisa in attesa di valutare bene le conseguenze politiche di una (prevedibile) sentenza di accoglimento.

E se le parole del governo nei confronti della Corte costituzionale non sono il massimo della cortesia e del rispetto istituzionale, le mosse potrebbero essere anche peggio, dal momento che sta per aprirsi un turno di nomine ampio e, a questo punto, assai delicato. Un giudice manca alla Consulta da sette mesi, la sua scelta spetterebbe a una Forza Italia ormai frantumata. Un altro giudice manca da quattro mesi (da quando è stato eletto al Colle Mattarella) e sarebbe di competenza del Pd. La seduta delle camere per l’elezione è fissata per l’11 giugno. Ma appena un mese dopo scade un terzo giudice, e si offrirebbe così la possibilità di trovare spazio anche alla seconda forza in parlamento, il M5S. Ma prima la Consulta ha in calendario l’udienza sul blocco degli stipendi pubblici. Palazzo Chigi non intende rischiare un nuovo colpo al bilancio.