Le foto in bianco e nero mostrano camion intenti a scaricare detriti e terreno smosso, qualche abitazione diroccata sullo sfondo. Era il 1963, l’anno di nascita della colmata di Bagnoli. Fu realizzata in 36 mesi per conquistare spazio (a discapito del mare) all’acciaieria Italsider, nella zona occidentale di Napoli. La crisi era di là da venire e l’ipotesi che lo stabilimento potesse un giorno chiudere non era contemplata, al pari delle preoccupazioni per l’ecosistema e per la tutela dell’ambiente. Il sogno industriale non ammetteva ripensamenti e, d’altronde, non lontano da quei fumi e da quella piattaforma le famiglie nuotavano e prendevano il sole senza pensieri. Vennero poi gli anni della stagnazione, della dismissione e delle nuove sensibilità ambientali.

QUELLA COLMATA – 195mila metri quadrati di cemento e scarti dell’altoforno, dei quali 38mila di area costiera e 157mila di area di riempimento – che incarnava il sogno di una espansione senza limiti della fabbrica, perfino oltre i confini naturali e geografici, e che era stata realizzata con una spesa di 70 miliardi di lire, divenne all’improvviso un ingombro, uno sfregio, un pericolo, il simbolo di una epoca tramontata.

Nel 1996 fu cancellata – ma solo virtualmente, perché non una sola pietra è stata portata via – dal decreto legge che sancì l’obbligo di rimuoverla e di ripristinare la linea di costa. Il governo Meloni impone ora un cambio di rotta: la colmata rimarrà al suo posto. È inquinata per circa il 40% da idrocarburi policiclici armatici e pvc (eredità velenosa degli anni di produzione dell’acciaieria) com’è stato evidenziato da diverse campagne di carotaggi, ma non sarà eliminata.

CI SI LIMITERÀ a portarne via il 10% e a mettere in sicurezza la parte rimanente. Lo prevede all’articolo 14 il decreto legge del 7 maggio scorso: «Ulteriori disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione». La norma, con riferimento alla legge 582 del 18 novembre 1996, sopprime le parole: «Comprensivo del ripristino della morfologia naturale della linea di costa in conformità allo strumento urbanistico del Comune di Napoli».

Commenta Carlo Iannello, docente di Diritto pubblico alla Seconda Università di Napoli che ha seguito le trentennali vicende della riqualificazione (a oggi incompiuta) dell’ex sito industriale: «Si pone la pietra tombale sulla prospettiva di restituire ai napoletani la piena fruibilità pubblica, ai fini della balneazione, della spiaggia di Bagnoli. Eppure questo dovrebbe essere l’obiettivo prioritario di qualunque lungimirante politica di risanamento dell’ex area industriale». Argomenta: «C’è un insormontabile problema di spazio. La spiaggia è lunga un chilometro e mezzo e circa 700 metri sono occupati dalla colmata. La parte più a sud dell’arenile, inoltre, interferisce con l’area portuale di Nisida».

SUL DESTINO della colmata ex Italsider si sono confrontate nell’ultimo quarto di secolo ipotesi diverse. Una prevedeva che fosse rimossa e utilizzata per opere portuali a Piombino. Un’altra che fosse riciclata nello scalo marittimo di Napoli, per il prolungamento della darsena di levante. Tra i sostenitori del suo mantenimento a Bagnoli, poi, c’era chi vagheggiava che sopra potessero essere realizzate cubature ex novo: alberghi di lusso, bar, ristoranti, stabilimenti balneari. «Una volontà edificatoria – sottolinea peraltro Iannello – che fa a pugni con il vincolo paesaggistico del ministero dei Beni Culturali e che non potrà mai essere concretizzata».

SE LA COSTA di Bagnoli, dunque, non riacquisterà la fisionomia che aveva prima del 1963, quei 195mila metri cubi dovranno in qualche modo essere resi inoffensivi sotto il profilo ambientale. Benedetto De Vivo, il geologo che è stato anche consulente del pubblico ministero Stefania Buda nell’inchiesta sui vertici della società Bagnoli Futura relativa alla prima bonifica dei terreni, quella costata circa 900mila euro (dopo l’annullamento nel 2023 in Cassazione delle assoluzioni per cinque imputati, si attende un nuovo processo in Corte di Appello con l’ipotesi di reato di disastro colposo ma incombe la prescrizione) sostiene la seguente tesi: «Si può procedere attraverso il capping, con la copertura di un metro di terreno, o con la distruzione termica a 500 gradi degli inquinanti. Ce la si può fare con circa 70 milioni di euro».

FONTI DEL COMMISSARIATO per la bonifica – la struttura ha al vertice il sindaco Manfredi che è coadiuvato dai subcommissari Dino Falconio e Filippo De Rossi – riferiscono che la colmata «sarà sigillata». Aggiungono: «Occorreranno circa tre anni dall’inizio dell’intervento, saranno spesi tra 150 e 200 milioni di euro. Per rimuoverla ne sarebbero stati necessari il doppio». Le risorse per depotenziare il pericolo ambientale fanno parte del pacchetto di 1 miliardo e 218 milioni stanziati, lo ha annunciato il ministro Fitto, nel decreto legge del 7 maggio.

«Quei soldi – informano dal commissariato per Bagnoli – copriranno le spese per tutto l’intervento di recupero dell’ex area industriale: la bonifica dei terreni, l’eliminazione degli inquinanti (idrocarburi policiclici aromatici) dai fondali marini attraverso la rimozione dei primi metri di sabbia e il capping della parte contaminata profonda, la realizzazione di infrastrutture come le fogne». Dovranno essere spesi, secondo il cronoprogramma del decreto, fino al 2029. Manfredi, ed era ovvio che così fosse, ha accolto con entusiasmo il nuovo stanziamento.

DE LUCA, il presidente della giunta regionale campana, molto meno: «Chi li caccia questi soldi?» ha commentato, con riferimento al fatto che il provvedimento del governo finanzia gli interventi per Bagnoli a valere sui fondi regionali per lo sviluppo e per la coesione. Il professore De Vivo ha rafforzato la sua teoria dello sperpero di risorse: «La bonifica è un albero della cuccagna. Di unico c’è solo un diluvio di denaro pubblico che non trova alcuna giustificazione tecnica e non ha paragoni a livello mondiale». Il suo «prezziario» ipotizza che per realizzare tutte le opere di disinquinamento a terra e a mare e recuperare la fruibilità dell’area sarebbero stati sufficienti 414 milioni di euro: «Ne sono stati spesi il doppio – ricorda – solo per la prima bonifica dei suoli realizzata dalla società Bagnoli Futura, poi fallita. Quella oggetto del processo in corso. C’è un proverbio cinese che racconta bene la vicenda, recita: mai ammazzare una mucca che produce generosamente latte».