Con Donald Trump l’America scopre le gaffe, ovvero ciò che ha reso famosa nel mondo l’Italia di Berlusconi. La domanda di tutti in Europa, se ci sia cioè traccia di italianità nell’emoglobina del miliardario newyorchese, è di quelle che preludono a risposte rassicuranti.

Localizzare lo squallore, circoscriverlo geograficamente, è il vecchio trucco di paranoici e spaventati, laddove i primi sono uguali ai secondi, solo che in loro la paura ha occupato tutti gli spazi disponibili. È l’Italia che finisce come un verme al centro della Grande Mela.

Dopo la stagione – celebre anche al cinema – dei gangster della malavita siciliana, adesso è il turno del ricco volgare e donnaiolo. E così tutti a vedere quante volte ci sta, aritmeticamente, Silvio Berlusconi dentro Donald Trump.

I due miliardari impresentabili, tutti soldi e scandali sessuali, fenomeni da baraccone, con i capelli trapiantati, oppure – per i più maligni – il parrucchino.

Intanto, mentre Trump il maschilista zittisce Hillary Clinton nei faccia a faccia televisivi per conquistare l’America, l’Italia celebra il congedo da Berlusconi in un compleanno dalla cifra tonda. L’Italia festeggia cioè gli ottant’anni di Silvio Berlusconi con un’infilata di foto di famiglia e di gaffe internazionali. Le foto di famiglia le forniscono gli apostoli, i sudditi legati a “Silvio” da questioni di interesse; quella delle figuracce le hanno pubblicate i detrattori dell’uomo che organizzava, tra le altre cose, festini con le ragazzine, quelli che hanno pensato che fosse un buon modo per sconfiggerlo, mostrare a tutti lo scandalo di uomo indifendibile.

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Da un lato, dunque, ci sono le fotografie di Silvio Berlusconi attorniato dai figli e dai nipoti, il nonno di famiglia, che gestisce con e per gli eredi un florido impero fatto di squadre di calcio e telecomunicazioni. Dall’altro ci sono le fotografie dei gesti che hanno reso Silvio Berlusconi noto al mondo: le corna fatte con la mano al vertice dei ministri europei del 2002, il nascondino giocato con la cancelliera Angela Merkel nel 2008, il siparietto, al Parlamento di Strasburgo, in cui propose a Martin Shulz il ruolo di kapò in un film sui lager nazisti allora in corso di riprese.

Tra gli scandali sessuali dei due uomini, tra le due arroganze mostrate in televisione con orgoglio, tra i due razzismi (arriverà mai Trump a dire di Obama che è “abbronzato”?), tra le due ricette economiche fondate su tanta ricchezza in mano a poca gente, in comune, prima di tutto, c’è il gradimento di milioni di persone. E la miopia di chi guarda il dito del buffone invece di guardare la folla di mani che l’applaudono entusiaste.

In Italia abbiamo ignorato quelle mani per vent’anni, pensando – con presunzione – che fosse evidente la mostruosità di uomo che si comportava in quel modo. Di più: abbiamo amplificato il suo messaggio ridendone, trasformandolo in una barzelletta da esportare nel resto del pianeta.

Per vent’anni ci siamo dimenticati di guardare di chi erano le mani che si spellavano per far sentire quanto gradivano le parole dell’allora Presidente. E se lo avessimo fatto ci saremmo resi conto che erano semplicemente mani come altre, che però non avevano nessuno che cercasse il loro applauso.

Di quelle mani l’Italia si è disinteressata, e se n’è disinteressato pure Berlusconi, dopo aver avuto il loro applauso. Così quelle mani sono finite nelle tasche con malinconia, sperando che prima o poi qualcun altro le convincesse a uscire.

E in Italia non è più successo. Questo soltanto, mi pare, si può dire di Donald Trump e Silvio Berlusconi. Che ad accendere i riflettori sopra il Mostro, si finisce per lasciare al buio chi gli crede, ovvero milioni di poveracci che pensano che la politica possa cambiare le loro vite.

In Italia come negli Stati Uniti, in Grecia come in Germania. È il buio intorno quello che oggi ci spaventa, è quello che bisognerebbe raccontare.

* Testo pubblicato anche in tedesco su Deutschlandradio Kultur e da domani in inglese su il manifesto global

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