Luigi Pacchiano, l’operaio che da solo nel 1995 ha iniziato la battaglia contro l’Eni e Marzotto, gira fra i banchi del mercato settimanale di Praia a Mare. Nessuno lo ferma per chiedergli qualcosa di quanto avvenuto il giorno prima. Eppure i quotidiani locali e nazionali sono andati a ruba dopo che la notizia dell’assoluzione si è sparsa in tutta la costa tirrenica. Tutti sanno ma nessuno parla. Pacchiano già prima della sentenza assolutoria, assieme ai suoi compagni e amici del «Comitato per le bonifiche dei terreni», non era di certo ben visto. Era considerato come quello che ha contribuito alla chiusura della fabbrica e poco s’interessavano alle vittime che quella fabbrica produceva anno dopo anno.

Il lavoro prima di tutto. È con questa logica che tutti in quella fabbrica lavoravano in silenzio. Anche davanti al tribunale di Paola in attesa della sentenza la sera di venerdì erano in pochi. Qualche familiare e i membri del Comitato, gli unici che da anni conducono la battaglia per la bonifica del terreno Marlane e per giungere alla verità su quanto avvenuto dentro la fabbrica.

Quei risarcimenti milionari

Alla notizia dell’assoluzione, nella gelida aula del tribunale non ci sono state esultanze, gli avvocati della difesa del Conte Marzotto sono rimasti freddi, e così quelli delle parti civili. Gli unici ad inveire contro la sentenza i familiari di un operaio deceduto per tumore presenti in aula e subito allontanati dalla polizia, giunta in forze da Cosenza sin dalla mattina presto, spaventati dal sit-in lanciato dai membri del Comitato. Poi tutti via a casa e gli avvocati di Marzotto a Lamezia per prendere l’ultimo aereo per Milano. Eppure i presupposti perché finisse con un’assoluzione generale c’erano. E i sospetti avrebbero dovuto essere chiari fin da quanto il conte Marzotto un anno fa decise di risarcire i 107 familiari degli operai deceduti.

Marzotto decise di risarcirli tutti senza attendere il verdetto finale e sborsa diversi milioni di euro. Potrebbe essere vista, sotto certi aspetti, quasi come un’ammissione di colpevolezza.

Se Marzotto fosse stato certo della sua difesa, fatta di avvocati sonanti, forse non avrebbe sborsato tutto quel denaro, anche se considerato poco rispetto alla strage. Evidentemente la cosa era andata più avanti. Non si trattava solo di risarcimento ma anche di mettere una pietra sopra alla vicenda dando un segnale preciso alla Corte.

La sentenza di Paola, in definitiva, ricalca le altre sentenze recentemente emanate da vari altri tribunali d’Italia. Assolti quelli della Tyssenkrupp, assolti quelli dell’amianto, assolti quelli della discarica di Bussi a Chieti, assolti quelli della Marlane. I padroni non si processano, questo è il messaggio forte e chiaro e in epoca di revisione dei diritti dei lavoratori, queste sentenze rientrano perfettamente nelle direttive governative. Lo sviluppo non può fermarsi per qualche morto, l’Italia ha bisogno di crescita, investimenti nuovi, nuova produzione.

D’altra parte questo processo Marlane non lo voleva nessuno sin dall’inizio ed è stato solo per un allineamento, quasi fortuito, di varie questioni che si è aperto. L’input al procuratore del Tribunale di Paola, Giordano Bruno, venne a seguito delle manifestazioni contro le navi dei veleni nel 2009. La manifestazione di Amantea aveva mostrato una Calabria che voleva uscire dalle trame dei servizi segreti sul traffico dei rifiuti tossici e voleva a tutti i costi la verità sui tanti malati di tumore sparsi per la Calabria, da Cassano allo Ionio, alla valle dell’Olivo , a Praia a mare. La pm Antonella Lauri , prima pm dell’inchiesta, tirò fuori dai cassetti impolverati e pieni di ragnatele, le denunce di Pacchiano, operaio della Marlane, che lì giacevano fin dal 1995 e cominciò a indagare su quanto avvenuto in quella fabbrica dove si erano concentrati centinaia e centinaia di morti ed ammalati di tumore. I tentativi di archiviazione dell’inchiesta fallirono e si aprì il procedimento con 13 imputati eccellenti a cominciare da Pietro Marzotto e via via con tutti i responsabili della fabbrica, dalla Lanerossi all’Eni.

Non si trattava di un processo indiziario, ma di un processo ricco di prove di ogni genere. I rifiuti tossici ritrovati nel terreno della stessa fabbrica, le testimonianze di operai che ammettevano di averli sotterrati loro stessi per ordine dei padroni, i camion con rifiuti speciali provenienti dalla Marlane fermati dai carabinieri nei pressi della discarica di Costapisola a Scalea (poi chiusa per inquinamento), le registrazioni acquisite agli atti di operai legati ai padroni che ammettevano di aver partecipato a cene per preparare le testimonianze, gli interrogatori ai quali sono stati sottoposti, nell’aula del tribunale di Paola decine di mogli di operai e di familiari sulle condizioni di salute. Su tutto e tutti la testimonianza resa davanti ai giudici da Luigi Pacchiano ricca di riferimenti precisi, durata sei ore.

Ma la cosa più sconvolgente sono i risultati conclusivi della superperizia redatta dai Ctu , nominati dallo stesso presidente Introcaso nelle persone di Maria Triassi (ordinaria di Igiene all’Università Federico II di Napoli), Betta Pier Giacomo(Specialista in anatomia, patologia, oncologia ,edica, patologia generale), Pietro Comba(direttore di Epidemiologia ambientale al Dipartimento ambiente e prevenzione primaria dell’Iss), Giuseppe Paludi (Medicina interna, perito d’ufficio della Corte di Assise Napoli) che così scrivevano :

1) «Possiamo affermare che vi è rapporto di causalità tra l’esposizione a sostanze cancerogene peril polmone e la vescica e l’incremento di patologie neoplastiche riscontrate; dobbiamo però chiarire tale concetto sotto l’aspetto medico-legale. Abbiamo soggetti identificati con certezza attraverso dati provenienti da enti accreditati: 15 soggetti deceduti per k (tumore, ndr) polmonare e 10 affetti da k Vescicale. Tali valori sono in eccesso rispetto al numero di casi attesi secondo criteri epidemiologici accreditati; gli stessi criteri epidemiologici ci dicono che non vi è un incremento delle patologie non neoplastiche collegate al fumo il che corrobora il dato che l’incremento delle patologie neoplastiche non sia correlato al fumo di sigaretta. Possiamo quindi dire che all’interno dell’insieme dei soggetti deceduti per k Polmonare e dei soggetti affetti da k Vescicale, con elevatissima probabilità vi sono soggetti che hanno sviluppato la patologia neoplastica a causa della esposizione alle polveri di sostanze cancerogene in ambito lavorativo; riteniamo per tanto verificato il nesso di causalità tra la esposizione a cromo vi e derivati benzidamminicie rispettivamente i k polmonari e i k vescicali».

2) «Riteniamo pertanto di potere affermare che vi è stato un disastro ambientale per lo sversamento continuo e costante di sostanza classificata tossica e irritante capace in determinate condizioni di sviluppare sostanze volatili irritanti come gli ossidi nitrosi, tale sostanza è presente in grandi quantità nelle zone sottoposte a verifica e circostanti la Marlane; la tipologia di sostanza è del tutto associabile ad attività di tessitura come quella attuata presso la Marlane».

Il terreno in vendita?

I fatti erano dunque più che evidenti, in quella fabbrica non si usavano mascherine, non venivano acquistate ed è dimostrato dalle bolle di acquisto dell’azienda, non venivano usate tute, non veniva arieggiato il locale della tintoria che era in un ambiente unico fatto di vapori venefici, i freni dei telai, oltre 120, erano fatti di amianto che a ogni frenaggio facevano scaturire polveri che si spargevano in tutto il capannone.

Ma la prova vera e reale era la concentrazione di tantissimi ammalati e morti di tumore che pesavano come macigni sulla coscienza di tutti coloro che avevano fatto di quella fabbrica una fabbrica elettorale. Oltre che di morte .

Ora Marzotto forse festeggerà, anche perché, con il terreno dissequestrato, potrebbe avviare una finta bonifica di qualche centinaio di metri quadrati e procedere alla vendita del terreno per una speculazione edilizia già pronta e in parte approvata dalla precedente giunta con il sindaco Lomonaco, ex imputato e oggi tra gli assolti.

È per tutto ciò che la gente non parla. I soggetti della vicenda, sia quelli imputati che quelli non entrati nell’inchiesta come l’attuale sindaco Antonio Praticò, sono ancora potenti, appartenenti alla politica, che gestiscono clientele e amicizie. Non si sa mai, potrebbero sempre servire per un posto di lavoro, per qualche figlio o parente. È stata questa la logica che ha pervaso gli anni della Marlane ed è su questa logica che si continua a operare in tutto il territorio. Gli unici a parlare e continuare la lotta gli attivisti del Comitato che in risposta a tutto quanto avvenuto lanciano un sit-in davanti il cimitero di Praia a Mare per le ore 10 del 31 dicembre. Depositeranno in silenzio una corona di fiori per ricordare quegli operai morti inutilmente. Nessuno più crede nella giustizia e nessuno più vuole parlare di appelli, di Cassazione, di ricorsi. Il messaggio è stato forte e chiaro, in Calabria comandano loro e solo loro.