Spiagge di talco, mare turchese, santuari naturali inviolati, e nativi con il sorriso perpetuo a 360°, sono il quadretto che il turista tiene esposto nella sua bacheca mentale, in vista del viaggio che darà sugo ai ricordi e al suo profilo Facebook. Dietro tale immagine oleografica, la realtà che impera in Centro-Sud America e Caraibi, è quella di una società violenta, dove la forbice dell’ineguaglianza ha accentuato, negli ultimi 10 anni, il divario tra ricchi e poveri, causando un aumento esponenziale della delinquenza e dell’emarginazione. Investimenti stranieri e turismo all-inclusive, hanno avuto il merito di creare un ceto medio relativamente agiato, a scapito però di una forza lavoro in stato cronico di precarietà e indigenza. Il minimum wage (salario minimo garantito) non si schioda, nel migliore dei casi, da 50 euro a settimana, a fronte di un carovita perennemente in ascesa. Ragion per cui, molti preferiscono saltare il fosso della legalità.
STATISTICHE IMPIETOSE
Secondo una recente inchiesta statunitense, sono proprio i Caraibi anglofoni a pagare il più alto tributo di sangue; Belize, Giamaica, St Kitts, Trinidad&Tobago e le Bahamas, i più belli, ma anche i più turbolenti. In questa top-5, per ordine di «merito», esistono 12 probabilità in più di essere ammazzati rispetto agli Stati Uniti, che pure non brillano certo per sicurezza nelle strade, aldilà dei mass-murders stile San Bernardino e Oklahoma City.
45 persone ogni 100.000 rimangono uccise in Belize annualmente, 42 in Giamaica, 33 in St Kitts, 30 in Trinidad&Tobago e Bahamas. Belize non raggiunge i 350.000 abitanti; la Giamaica ne ha tre milioni, e denuncia quasi 2000 omicidi, causa la guerra tra gang che insanguina i quartieri poveri della capitale Kingston e Spanish Town. Le connivenze con i politici, assicurano ai loro capi impunità e protezioni, ed è solo la manovalanza a pagare. Il razzismo gioca un fattore cruciale; la classe dirigente, in maggioranza bianca, seleziona un terziario di carnagione più chiara, per inserirlo nei posti-chiave, banche, uffici e media.
I blacka (più neri in creolo) fanno sovente i lavori peggiori e malpagati. In questo scenario, non sorprende che l’odio verso i giamaicani bianchi si estenda, a volte, agli stranieri che lavorano qui, e che la fanteria delle bande sia costantemente rimpiazzata nei suoi vuoti.
BELIZE, UN MONDO
A PARTE
La Giamaica trova nell’orgoglio nazionale il superamento degli squilibri di classe; su questo puntano gli investimenti esteri, che hanno consentito negli ultimi anni alcune infrastrutture, iniziate da UE, e ultimate dalla Cina. Il quadro cambia in Belize, British Honduras durante il dominio britannico. È l’unica nazione centro-americana, con idioma inglese, tranne che nel distretto di Corozal, al nord, dove prevale lo spagnolo.
Indipendente dal 1981, 19 anni dopo la Giamaica, quest’ibrido geo-politico si affaccia sul Mar dei Caraibi, confina a nord con il Messico, e a sud-ovest con il Guatemala, che continua a osteggiarlo e reclamarne la restituzione; una contesa che si trascina tutt’ora, con la Gran Bretagna che mantiene un contingente militare di appoggio all’esercito nazionale. Il territorio è vasto, con una popolazione ridotta ma eterogenea.
La natura selvaggia è inframezzata da piccoli centri abitati, e riserve di animali protetti. La wildlife è così estrema, che in passato non erano rari i casi di attacchi, anche mortali, dei giaguari. Ridotti a meno di un migliaio di esemplari, confinati in gran parte nel Cockscomb Basin Wildlife Sanctuary, oggi tale rischio è minore.
L’indipendenza ha prodotto un’emigrazione di massa dalle guerre civili degli anni ’80 in Nicaragua, El Salvador e Guatemala, che qui ha trovato rifugio e lavoro. Il ceppo Maya moderno incide per l’8% nella popolazione, composta per il resto da 22% di creoli (afro-caraibici) 55% di mestizos (indio-ispanici) 5% di Garifuna (eredi degli antichi indios Arawak e Caribs) e infine Mennoniti, (immigrati russo-tedeschi) e cinesi. Tranne i meticci, che parlano inglese, gli altri si esprimono tra di loro nei dialetti originari. Un minestrone di genti, costretti a una convivenza forzata per motivi economici, che si sopportano a stento; il razzismo che ne deriva, è causato più dall’intolleranza culturale, che da differenze di stato sociale. Lo sviluppo del turismo, ha però attenuato l’ostilità verso il white man. Le gang criminali, uccidono circa 160 persone l’anno, superando quelle giamaicane in rapporto al numero di abitanti, e insediandosi al 2°posto in Centro-America, dopo Honduras ed El Salvador.
Gli omicidi si concentrano a Belize City, la città più grande, ricostruita da ground zero dopo il passaggio dell’uragano Hattie nel 1961, e Belmopan, alla quale ha passato lo scettro di capitale, dopo la sua distruzione.
Il degrado cronico, in cui versa BC, riporta alla memoria quei giorni: crateri lungo le strade, fogne a cielo aperto, street people (barboni) che frugano nell’immondizia o si abbeverano alle pozzanghere, sullo sfondo degli edifici in stile vittoriano. Show quotidiano che si fa spettrale la notte, quando le strade buie facilitano aggressioni e rapine.
CONCLUSIONI
«Fowl caca white an tink e lay egg» (proverbio creolo).
«Il pollo defeca bianco, e crede di deporre uova».
La cartolina Caraibi continua ad attrarre l’occidentale medio, che vede nei suoi colori sgargianti, il riscatto dalla propria noiosa routine. Sovente però, a un sano entusiasmo iniziale, subentrano supponenza ed egocentrismo, che inducono molti a prendere abbagli madornali. Il proverbio creolo calza a costoro come un guanto.