Il Consiglio Nord Atlantico si è riunito ieri d’urgenza a Bruxelles, a livello dei ministri della difesa, «in un momento decisivo per la nostra sicurezza». La Nato è «fortemente preoccupata dalla escalation dell’attività militare russa in Siria», in particolare dal fatto che «la Russia non sta prendendo di mira l’Isis, ma sta attaccando l’opposizione siriana e i civili».

Non specifica la Nato quale sia «l’opposizione siriana» attaccata dalla Russia. Il Pentagono ha dovuto ammettere, il 16 settembre, di essere riuscito ad addestrare in Turchia, spendendo 41 milioni di dollari, appena 60 combattenti attentamente selezionati, ma che, una volta infiltrati in Siria con l’insegna di «Nuovo esercito siriano», sono stati «quasi completamente spazzati via da forze del Fronte al-Nusra». L’«opposizione siriana», che la Nato vorrebbe non fosse attaccata, è una galassia di gruppi armati, formati per la maggior parte da combattenti stranieri, finanziati dall’Arabia Saudita e altre monarchie del Golfo, molti dei quali sono passati dai campi di addestramento della Cia e delle Forze speciali Usa in Turchia. Il confine tra questi gruppi e l’Isis è assai labile, tanto che spesso armi fornite all’«opposizione» finiscono nelle mani dell’Isis. Ciò che li accomuna è l’obiettivo, funzionale alla strategia Usa/Nato, di abbattere il governo di Damasco.

L’accusa alla Russia di attaccare volutamente i civili in Siria (e certo non si possono escludere morti di civili nei raid russi contro l’Isis) viene da una Nato che nelle varie guerre – vedi in Afghanistan il dramma di Kunduz – ha fatto strage di civili. Contro la Jugoslavia nel 1999, essa impiegò 1.100 aerei che effettuarono in 78 giorni 38mila sortite, sganciando 23 mila bombe e missili, provocando tante vittime civili, ancora oggi a causa di uranio impoverito e scorie chimiche delle raffinerie bombardate. Nella guerra contro la Libia nel 20Il l’aviazione Usa/Nato effettuò 10mila missioni di attacco, con oltre 40mila bombe e missili; e alle vittime civili dei bombardamenti si sono aggiunte quelle più numerose, del caos provocato dalla demolizione dello Stato libico.

La Nato, che denuncia lo sconfinamento casuale di aerei russi nello spazio aereo turco definendolo «violazione dello spazio aereo Nato», non riesce a nascondere il vero problema: lo scacco subìto dalla mossa russa di attaccare realmente l’Isis, che la coalizione a guida Usa (ufficialmente non è la Nato a intervenire in Siria) fa finta di attaccare, colpendo obiettivi secondari. Non si spiega altrimenti come colonne di centinaia di camion, carichi di rifornimenti, siano potute finora arrivare dalla Turchia nei centri controllati dall’Isis (lo mostrano foto satellitari) e colonne di veicoli militari dell’Isis si siano potute spostare tranquillamente allo scoperto.

Su questo sfondo i ministri degli esteri Nato annunciano da Bruxelles il potenziamento del Readiness Action Plan. Dopo l’attivazione in settembre di sei «piccoli quartieri generali» in Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania, destinati a una più stretta integrazione delle forze, viene deciso di aprirne altri due in Ungheria e Slovacchia e di «preposizionare materiale militare nell’Est europeo, così da poter rapidamente rafforzare, se necessario, gli alleati orientali». Viene deciso allo stesso tempo di potenziare la «Forza di risposta», aumentata a 40mila uomini. Il segretario generale Stoltenberg dà a tale proposito un importante annuncio: la Germania assumerà nel 2019 la guida della «Forza di punta ad altissima prontezza operativa» che, come dimostra l’esercitazione Trident Juncture 2015, può essere proiettata in 48 ore «ovunque in qualsiasi momento». E la Gran Bretagna «invierà più truppe a rotazione nei paesi baltici e in Polonia per addestramento ed esercitazioni». L’annunciato maggiore impegno di Germania e Gran Bretagna nella Nato sotto comando Usa conferma che le maggiori potenze europee, che hanno propri interessi talvolta in contrasto con quelli statunitensi, si ricompattano con gli Usa quando viene minacciato il predominio dell’Occidente.

I ministri della difesa della Nato annunciano «ulteriori passi per rafforzare la difesa collettiva» non solo verso Est ma verso Sud. «I nostri comandanti militari – comunica Stoltenberg – hanno confermato che abbiamo ciò che occorre per dispiegare la Forza di risposta nel Sud». La Nato è dunque pronta ad altre guerre in Medioriente e Nordafrica.