Il 2024 è iniziato a Bologna con l’introduzione del limite dei 30km/h. Le proteste non sono mancate, ma nemmeno il supporto a una misura che ha il potenziale di cambiare radicalmente lo spazio cittadino. Un mese prima di Bologna, anche Amsterdam è diventata una “Città 30”, ne parliamo con Meredith Glaser, professoressa di urban planning e di ciclismo nelle Università di Amsterdam e di Ghent, e ceo dell’Istituto di ciclismo urbano.

«Molte delle crisi che affrontiamo ogni giorno nelle città sono riconducibili alla dipendenza dall’automobile: congestioni, inquinamento dell’aria, disuguaglianze sociali e problemi ambientali». Spiega Glaser, «Le città sono spazi molto particolari, per la loro densità e perché lo spazio tra gli edifici è prezioso e assume un valore politico. Per più di un millennio questo spazio è stato pubblico e utilizzato per camminare, condurre scambi sociali e economici e giocare. Eppure, è il secolo scorso ad aver cambiato il paradigma, rendendo ciò che prima era accessibile a tutti, accessibile solo alle auto, basti pensare a quanto spazio occupano i parcheggi.

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Oggi, l’auto è diventata un simbolo di progresso e modernità, per questo, andare controcorrente e imporre delle restrizioni, è visto come una sfida alla nostra identità, alle nostre regole, ai nostri rituali. È quindi normalissimo che alcune persone reagiscano duramente alle politiche di riduzione delle auto. Sarebbe strano, se un cambiamento così importante allo status quo, come quello della cittá 30, non portasse con sé un’ondata di proteste».

Meredith Glaser parla al manifesto dal suo ufficio nel campus di Scienze Sociali dell’Università di Amsterdam, una città da sempre famosa per il suo approccio radicale alla distribuzione dello spazio pubblico. Negli ultimi anni ha infatti ridotto drasticamente il numero di parcheggi, chiuso alcune strade centrali al traffico, introdotto il limite dei 30 km/h, costruito un parcheggio sotterraneo per 7,000 bici e molto altro. Ma anche ad Amsterdam, il malcontento per la città 30 si è fatto sentire.

Meredith Glaser
Diminuire le auto e la velocità aiuta la coesione sociale e riduce le disuguaglianze

«Questa rabbia deriva dal modo in cui vengono comunicati i cambiamenti. Diminuire lo spazio per le auto in città non impatta solo la quantità di traffico, la qualità dell’aria e il numero di incidenti. Queste misure ridanno spazio ai cittadini, permettono ai bambini di ritrovare un’indipendenza, andando alla scuola vicino a casa in bici o a piedi, senza paura. Sono misure che aumentano la coesione sociale, riducono le disuguaglianze e ci restituiscono un’immagine diversa della città. Ma finché non si comunicherà anche questo le persone faranno fatica a capire il motivo dietro a queste scelte. Invece di dire “le auto in questa strada non potranno più passare perché inquinano”, diciamo “le auto in questa strada non potranno più passare perché diventerà uno spazio sicuro per giocare per i bambini”. La percezione, e quindi le reazioni dal pubblico, saranno diverse».

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Meredith Glaser, ha iniziato il suo percorso studiando Public Health, salute pubblica, negli Stati Uniti «Capire il ruolo cruciale che l’ambiente cittadino gioca sulla salute umana, mi ha spinta a proseguire i miei studi nel campo dell’urbanistica, dove ho capito che la mobilità attiva deve essere uno strumento per le nostre comunità. Moltissime persone non hanno accesso a un’automobile: bambini, anziani, persone con difficoltà motorie o cognitive, persone con problemi economici. Anche queste persone hanno diritto al movimento e alla presenza di uno spazio cittadino accessibile e sicuro dove svolgere la loro vita. Come ha detto la sindaca di Parigi, dopo il referendum che ha approvato l’aumento del costo del parcheggio per i Suv, imporre restrizioni alle auto non è solo una questione di giustizia ambientale, ma anche di giustizia sociale».

Per rendere efficace la città 30 bisogna prevedere anche altre misure, come l’aumento dei mezzi pubblici e la loro capillarità e la costruzione di piste ciclabili sicure. «La bicicletta, per esempio, è uno strumento che può garantire a tutti un’ampia accessibilità alla mobilità». Conclude Glaser: «L’odio che alcuni provano per i ciclisti, deriva da una tendenza naturale degli esseri umani di sentirsi parte di un gruppo, di una tribù. La bici quindi diventa un pericolo per lo status quo. È importante studiare queste dinamiche, e coinvolgere persone di diverse discipline nella costruzione dello spazio cittadino. Non solo urbanisti, ma anche sociologi, scienziati politici, psicologi, per capire le tensioni che danno forma ai nostri comportamenti in città e risolverle».

La riduzione della velocità consentita in città è un primo passo nella creazione di spazi più sicuri, meno inquinati e accessibili a tutti i cittadini, nessuno escluso. Amsterdam è da sempre una città capace di guardare avanti, e la città 30 è solo l’ultimo di una serie di cambiamenti che stanno radicalmente cambiando lo spazio urbano. Cambiamenti che l’hanno resa una città a misura d’uomo, non di automobile.