León sta per lasciare il suo incarico di inviato delle Nazioni unite in Libia e ha tirato fuori il suo ultimo asso nella manica. In una concitata conferenza stampa a Skirat in Marocco, il diplomatico spagnolo non solo ha annunciato che sulla carta è pronto il governo di unità nazionale ma ha aggiunto anche nomi e cognomi di premier e ministri.

Un uomo di Tobruk, Fayez Serray, ex ministro in uno dei governi di transizione dopo i catastrofici attacchi della Nato del 2011, dovrebbe essere il nuovo premier. Per rappresentare le altre fazioni sul campo sono stati nominati tre vice-premier che compongono un Consiglio di presidenza: Ahmed Maetiq, misuratino e membro del Consiglio generale nazionale di Tripoli; Moussa Kony dall’ingovernabile deserto del Fezzan; e Fatj Majbari, dalla Cirenaica, vicino al premier di Tobruk, Abdullah al-Thinni. Insomma questo nuovo governo dovrebbe rappresentare una sorta di unione federale di una Libia già bantustanizzata. Non solo, dovrebbe tacitare anche le divisioni interne ai singoli blocchi. Questo è quanto sulla carta, ma nella realtà è tutta un’altra storia.

Quale sarà il ruolo del golpista, secondo solo ad al-Sisi, Khalifa Haftar (che ha promesso per la centesima volta di liberare Bengasi da Ansar al-Sharia in tre settimane)? Come potrà Tripoli accettare che la sede del Parlamento «federale» sia la poco rappresentativa cittadina di Tobruk? Che reazione avranno gli ex-gheddafiani?

E così il giorno dopo l’annuncio dell’intesa i malumori sono arrivati prima di tutto dalla Fratellanza musulmana libica. Una parte di questo movimento è completamente contraria a qualsiasi riconoscimento di Tobruk, si è ripetutamente rifiutata di sedere al tavolo negoziale, ha strappato la prima intesa e lasciato le ultime fasi dei colloqui. Si è fatto portavoce di questa fazione, Abdulsalam Bilashahir, parlamentare del Cng che ha detto tranchant di non sentirsi rappresentato da questo governo. «Per noi non significa nulla e non siamo stati consultati», ha tuonato.

Insomma, secondo i Fratelli musulmani libici si concretizza con questa intesa una spartizione del paese in Cirenaica, Tripolitania e Fezzan del tutto inaccettabile. Per protesta, alcuni gruppi armati hanno bloccato le strade che portano a piazza dei Martiri a Tripoli. Di fatto alcune milizie hanno impedito i lavori del parlamento di Tripoli che doveva votare per appoggiare l’intesa di Skirat.

Due giorni fa era esploso un ordigno a due passi dal parlamento proprio per bloccare i lavori. Sul fatto che questa intesa fotografi, anticipi e permetta in qualche modo la secessione tra Cirenaica e Tripolitania, concordano anche alcuni politici della Cirenaica, tra cui Ibrahim Alzaghiat del parlamento di Tobruk. A questo punto la strada è spianata per un intervento internazionale di stabilizzazione. La missione di peace-enforcement potrebbe essere approvata a breve dalle Nazioni unite ed essere guidata dall’Italia.

Il Ministero degli esteri italiano ha fatto sapere che qualsiasi sforzo in Iraq al fianco della coalizione internazionale contro lo Stato islamico potrebbe essere dirottato verso la Libia. Il capo della diplomazia Ue, Federica Mogherini, impegnata costantemente, insieme a Francia e Gran Bretagna, a sabotare il ruolo di Tripoli nei colloqui, ha espresso soddisfazione per l’intesa dai piedi di argilla e ha annunciato che l’Ue potrebbe inviare subito 100 milioni di euro al nuovo esecutivo. Di certo questo accordo approssimativo ha un solo pregio: di procrastinare un possibile intervento armato egiziano al fianco di Tobruk con il sostegno europeo. Questa possibilità era stata paventata lo scorso febbraio con il pretesto di fermare i continui flussi migratori verso il Canale di Sicilia e l’avanzata di Isis a Sirte e Derna. Ormai però la fase di emergenza è stata superata in due modi.

Da una parte, il Cng ha avviato una politica aggressiva contro i migranti (non contro gli scafisti) che prevede l’arresto dei profughi sulle coste libiche (oltre 300 migranti sono stati arrestati nei giorni scorsi) grazie al coordinamento con le municipalità. Fin qui questa strategia ha avuto come sola conseguenza di spingere il business delle migrazioni verso l’Egitto. D’altra parte, l’avvio della seconda fase di EuNavfor Med ha permesso all’Unione europea di violare tranquillamente le acque territoriali libiche per fare il bello e il cattivo tempo con il pretesto di arrestare gli scafisti.