Tre mete a zero, sedici punti di differenza. Le previsioni della vigilia di Italia-Sudafrica indicavano uno scarto oscillante tra i quindici e i venti punti. Siamo lì: allo stadio Euganeo è finita 6 a 22. Nessuno però avrebbe scommesso su una squadra azzurra capace di chiudere il primo tempo a due sole lunghezze dai rivali (6-8) in virtù di una buona difesa e di un confronto tra i due pack giocato alla pari, senza soggezione e col coltello tra i denti. Non era facile né scontato.

Il rugby degli Springboks è quello di sempre. Pochi svolazzi ma tanta sostanza e un impatto fisico impressionante. Funziona così: si conquista la palla nei punti di incontro e poi si parte con cariche a testa bassa, guadagnando metri, logorando e sgretolando la difesa avversaria, finché si apre il varco giusto. E’ un gioco ruvido che ti asfissia e ti prosciuga le energie, quello sudafricano, e l’Italia ha resistito fino a quando le forze glielo hanno consentito.

Per un’ora gli azzurri sono rimasti attaccati agli avversari, contendendo palloni, combattendo alla pari nelle mischie ordinate e soffrendo molto sulle touches, dove il predominio dei bokke era netto e Victor Matfield giganteggiava su tutti. Di più, l’Italia era riuscita a segnare per prima, tre punti messi a segno da Kelly Haimona al secondo tentativo dalla piazzola all’11’, ma dopo quattro minuti i sudafricani avevano già pareggiato con un penalty di Pat Lambie e dopo altri otto segnavano la prima meta con il pilone Coenie Oosthuizen, dopo una serie di attacchi e di sfondamenti, portandosi sul punteggio di 3-8. Tutto secondo copione, o quasi: dopo un quarto di gara gli Springboks sembravano aver preso l’abbrivio e nessuno li avrebbe più fermati.

E invece qui sono venuti fuori gli azzurri. Anziché franare, hanno alzato ancor più le trincee. La mischia ordinata soffriva e reggeva, sebbene l’ovale in uscita risultasse spesso sporco e difficile da giocare; e nei raggruppamenti si trovava il modo di strappare palloni preziosi, con l’esordiente Samuela Vunisa autore di una prova di carattere. Più difficile andare oltre la linea di difesa sudafricana, e allora ci si affidava ai calci di spostamento di Haimona e McLean. Bisognava tenere gli avversari il più possibile lontano dai 22 metri azzurri e allentare una pressione a tratti soffocante. Si faceva male Matias Aguero ed entrava Alberto De Marchi nel ruolo di pilone sinistro. Al 39’, dopo una touche ben giocata, la maul azzurra costringeva gli avversari al fallo. Haimona piazzava tra i pali ed era 6-8.

Dopo il riposo l’Italia reggeva altri venti minuti, poi la fatica si faceva sentire. Il Sudafrica cambiava l’intera prima linea mettendo dentro i veterani Bismark Du Plessis e Guthro Steenkamp, mentre sul fronte opposto Castrogiovanni era esausto e anche Ghiraldini aveva esaurito le energie. Al 20’ arrivava la meta di Cobus Reinach, imbeccato da una splendida accelerazione di Nizaam Carr, esordiente e primo giocatore di fede mussulmana nella storia degli Springboks. Handrè Pollard trasformava e si andava sul 6-15.

Era il punto di svolta. Se fino a quel momento i bokke avevano faticato più del previsto a mettere le mani sulla partita, adesso la strada si faceva in discesa e agli azzurri non restava altro da fare che raccogliere le forze residue per evitare una disfatta. La partita si faceva più sporca e disordinata ma nonostante tutto la difesa italiana reggeva e in un paio di occasioni Parisse e compagni riuscivano persino a rendersi pericolosi. Al 39’ la terza meta della partita, con Pollard che si faceva quaranta metri di campo e imbeccava Bryan Habana solo e indisturbato che andava a schiacciare. 6-20 che diventavano 6-22 con la trasformazione. Fischio finale.

Il trittico internazionale dell’Italia si chiude dunque con un successo (Samoa) e due sconfitte (Argentina e Sudafrica). Adesso c’è il Sei Nazioni alle porte, con tre gare casalinghe (Irlanda, Galles e Francia) e qualche carta in più da giocare rispetto alla scorsa stagione. Innanzitutto la difesa, che si è ritrovata, e un buon equilibrio tra i reparti. Poi il ritorno di Masi, Favaro e Minto e la bella novità di Samuela Vunisa. Infine Kelly Haimona, che ha dato sostanza alla mediana e rispetto ai suoi molti predecessori ha un pregio di non poco conto: centra i pali e consente alla squadra di non gettare al vento i calci di punizione. “Il gruppo è questo”, ha detto ieri Jacques Brunel, che deve pensare non solo al Sei Nazioni ma alla coppa del mondo che si disputa il prossimo autunno in Gran Bretagna.