Con l’accordo siglato ieri mattina a Bruxelles tra la Svizzera e l’Unione europea, a partire dal 2018 i conti bancari elvetici non avranno più segreti per il fisco dei ventotto Stati membri. Sarà un caso, ma l’intesa giunge proprio mentre a Berna scoppia il caso dei Mondiali di calcio 2018 e 2022, con l’inchiesta della procura federale che ruota attorno al riciclaggio delle mazzette di denaro avvenuto, secondo l’ipotesi dei pm, abusando appunto del segreto bancario svizzero.

Quel segreto che la Confederazione ha iniziato a smanellare già da un anno a questa parte. Un lungo cammino verso l’adeguamento agli standard globali dell’Ocse che ha portato infine al protocollo firmato dal Segretario di Stato della Confederazione, Jacques de Watteville, dal ministro delle finanze lettone, Janis Reirs, come rappresentante di turno della presidenza Ue, e dal commissario europeo Pierre Moscovici.

L’intesa, che sostituisce il precedente accordo sulla fiscalità del risparmio in vigore dal 2005, prevede lo scambio automatico di informazioni fiscali tra i ventotto Paesi europei e la Confederazione. Una mole di dati che si riverseranno periodicamente nelle banche dati delle varie agenzie delle entrate e che metteranno però alla prova la capacità di intelligence delle autorità fiscali degli Stati membri.

Comunque, a riprova del nuovo corso, intrapreso per portare la Svizzera fuori dalle black list dei Paesi europei – condizione vitale per il piccolo Stato al centro dell’Europa – già qualche giorno fa sul sito internet dell’Amministrazione federale delle contribuzioni (Afc) è comparso un lungo elenco di nomi di presunti evasori fiscali esteri (molti dei quali già presenti nella lista Falciani) «non reperibili» dalle autorità elvetiche, almeno stando alla versione ufficiale.

La lista pubblicata sul Foglio federale ha destato però un certo scalpore soprattutto nei Paesi che avevano appunto chiesto a Berna informazioni fiscali su quei loro cittadini, sbattuti invece alla gogna mediatica. Le richieste di assistenza amministrativa – il cui numero, secondo l’Afc, è aumentato molto dal 2011 – provenivano da Germania, Francia, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca, Norvegia, Svezia, Spagna, Israele, Russia e India.

Dunque, il clima è cambiato: Berna è ormai sulla strada della conformità fiscale, come Monaco, Andorra, San Marino e il Liechtenstein, che dovrebbero firmare analoghi accordi entro la fine dell’anno. «Finora circa 100 Paesi, tra cui tutte le più importanti piazze finanziarie, si sono dichiarati favorevoli all’introduzione dello standard globale dell’Ocse – si legge sul comunicato della Segreteria di Stato elvetica per le questioni finanziarie internazionali – Un primo gruppo di circa 50 Stati porrà in vigore lo standard già nel 2016. L’accordo tra la Svizzera e l’Ue dovrebbe entrare in vigore il 1° gennaio 2017 e il primo scambio di dati dovrebbe avvenire nel 2018, a condizione che le procedure di approvazione in Svizzera e nell’Ue si concludano in tempo utile».

Gli stati firmatati e «i Cantoni – prosegue la nota ufficiale – potranno prendere posizione in merito all’accordo fino al 17 settembre 2015 nel quadro della procedura di consultazione avviata in data odierna dal Consiglio federale». Successivamente il testo passerà al voto delle camere federali e poi probabilmente anche al vaglio dei cittadini svizzeri tramite un referendum popolare, dall’esito però molto incerto.

Il nuono protocollo, che sostituisce quello in vigore dal 2005, «nell’interesse della piazza economica svizzera, mantiene tuttavia – spiega il Dipartimento federale delle finanze – l’attuale esenzione dall’imposta alla fonte di pagamenti transfrontalieri di dividendi, interessi e canoni tra società consociate».

E dal 2018, con i dati dei conti bancari raccolti a partire dal 2017, i Paesi Ue e la Svizzera potranno «identificare correttamente e inequivocabilmente i contribuenti – spiega il Consiglio europeo – amministrare e far rispettare le proprie leggi fiscali in situazioni transfrontaliere, valutare la possibilità che venga perpetrata l’evasione fiscale ed evitare ulteriori indagini non necessarie». «La questione della regolarizzazione del passato con gli Stati limitrofi e i maggiori Stati membri dell‘Ue – prosegue il comunicato della Segreteria di Stato – può pertanto essere considerata ampiamente risolta».

«L’accordo è – secondo l’avvocato svizzero Paolo Bernasconi – la fine dell’abuso del segreto bancario svizzero a scopo di evasione fiscale». Eppure, aggiunge l’autore della legge elvetica antiriciclaggio, «la violazione del segreto rimane un reato: il Parlamento svizzero, infatti, ha dichiarato punibile la ricettazione di dati bancari sottratti».