Dopo un fine settimana di tese discussioni con in gioco l’unità del suo governo ombra e del partito parlamentare nel suo complesso, Jeremy Corbyn ha sciolto il suo dilemma: concederà un voto libero ai deputati laburisti sulla cruciale decisione se allargare i bombardamenti aerei britannici anti-Isis alla Siria.

La decisione è arrivata inaspettata e sulla scia di voci ricorrenti, nella mattinata di lunedì, che il leader – contrario agli attacchi aerei voluti da Cameron – fosse più incline a imporre disciplina e a far votare contro ricorrendo alla cosiddetta three line whip, la convocazione più categorica pena la quale si rischia l’espulsione dal gruppo e addirittura, in certi casi, dal partito. Ma a metà pomeriggio, Corbyn è emerso dall’ennesima difficile riunione con il suo shadow cabinet mostrando di preferire l’unità interna del partito al suo mandato di farne rispettare la linea.

In cambio, per nulla persuaso dalle motivazioni pro-intervento addotte da Cameron venerdì scorso in aula, il leader laburista ha chiesto al premier un dibattito allungato a due giorni per consentire la piena discussione di alcune delle motivazioni del governo, sulla cui fondatezza il Parliamentary labour party (Ppl) – per tacere della folta rappresentanza degli iscritti e degli elettori – nutre uno scetticismo che aumenta man mano che ci si allontana dallo shock del massacro di Parigi. Uno scetticismo non del tutto eliminato dalle tre ore spese da Cameron in aula venerdì per rispondere alle quattro obiezioni laburiste, che riguardano una concreta accelerazione della soluzione negoziale della guerra civile siriana, quale esercito di terra si sarebbe fatto carico della liberazione dei territori occupati dall’Isis (Cameron ha fatto ripetutamente riferimento a 70.000 fantomatici combattenti anti-Assad «moderati»), la coordinazione e strategia militare da adottare nella regione, la gestione della crisi umanitaria dei rifugiati e il taglio delle forniture energetiche e finanziarie al cosiddetto Califfato.

La richiesta è contenuta in una lettera che Corbyn ha indirizzato a Cameron, alla quale quest’ultimo risponderà ancora non si sa bene in che termini. Soprattutto non si sa ora se tirerà dritto con la votazione, dopo aver ribadito più volte che senza una «chiara maggioranza» in tasca non avrebbe rischiato «una vittoria per l’Isis» che in realtà è soprattutto uno scacco politico personale simile a quello patito nel 2013 quando il Labour, allora guidato da Ed Miliband, votò compatto contro i bombardamenti anti-Assad. Cameron ha bisogno dei voti dei frontbenchers laburisti perché ha molte defezioni nelle sue fila e il Snp resta contrario.

È una marcia indietro, questa di Corbyn, leggibile come un segno di debolezza di un leader ostaggio del suo governo-ombra, che aveva minacciato dimissioni e la cui maggioritaria bramosia di bombardare rende quantomeno improbabile il riferirglisi con l’appellativo di «moderato». Ma potrebbe anche rivelarsi un colpo tattico per guadagnare tempo: se il voto si tenesse la settimana prossima e senza che la mozione passi, Corbyn ne uscirebbe come il leader capace di tener fede alla propria vocazione di ascoltatore e mediatore delle differenze di un partito della cui divisione lui stesso è il simbolo, senza contravvenire alla linea anti-bombardamenti sua e della maggioranza degli iscritti e militanti.

Ma ancora non si sa se la votazione stessa avrà luogo: con soli 60 deputati laburisti a favore su 231, Cameron non ha ancora la maggioranza che gli serve ad autorizzare gli attacchi.