Sud Salento. «Siamo barocchi, da queste parti, e il cinema qui è un’esplosione, un magma che porta con sé anche altre arti, i suoni, le installazioni, le luci». Il direttore artistico Paolo Pisanelli riassume così senso e declinazioni, geografie e pratiche della Festa di Cinema del reale di Specchia. L’edizione è la numero dodici, ha preso il via mercoledì scorso per concludersi stasera, tardi, molto tardi: si sa infatti, come accade da sempre, che l’approdo effettivo sarà l’alba di domani. In mezzo, ore di musica (guest star è Mylious Johnson da New York) e di stelle, di incontri, di persone.

Una Festa che è riuscita, nel tempo, a preservare “formula” e anima, mantenendosi fedele a se stessa e, insieme, rinnovandosi. Quest’anno, ad esempio, allargando i suoi spazi, dando nuova vita ad altri luoghi: ed ecco, allora, l’ex Convento dei Francescani Neri che diventa sala cinematografica (e sede dell’installazione-omaggio a Blue di Derek Jarman), ad aggiungersi al «quartier generale» nel cinquecentesco Castello Risolo. O ancora, “spostandosi” altrove, in altri paesi della provincia leccese, a partire dal 28 a luglio a Presicce proseguendo il 29 a Gagliano del Capo e poi ancora continuando questo miniviaggio delle “Notti di Cinema del reale”. «Se dovessi tracciare un bilancio di quello che Specchia è stata dall’inizio fino ad oggi – aggiunge Pisanelli – non potrebbe che essere positivo. La Festa è nata perché io, proprio da filmmaker, sentivo una mancanza, per me era necessario creare un terreno fertile, comune, affinché cineasti e artisti potessero incontrarsi davvero, condividere visioni e idee, progetti magari. Qualcosa che nei festival molte volte non avviene». Festa qui quest’anno con ospiti, fra gli altri, Mariann Lewinsky, Eva Stefani, Daphné Heretakis Costanza Quatriglio, Leonardo Di Costanzo, Daniele Vicari, Alessandro Leone, Francesco Cordio, Antonio Bigini, Angelo Marotta, Danio Manfredini e Stefano Andreoli. E se il cinema e i suoi autori restano il centro, attorno orbitano molte esperienze artigianali e artistiche a chilometro zero, tra mostre fotografiche, happening e digital media, laboratori, concerti, mercatini del gusto e visite guidate.

E, come ogni anno, poi, tre parole a scandire, a custodire l’essenza di questa Festa, a suggerire letture, fantasie. Parole scelte, di nuovo, come sempre, un po’ consapevolmente, un po’ casualmente. Dunque Corpi/Inganni/Movimenti. «Sono parole che forse contengono il mondo e mi piace immaginarle come parole volanti, sfuggite a un naufragio, in cerca di asilo», commenta Il direttore artistico. Corpi rivoluzionari come quello del musicista nigeriano Fela Kuti nel documentario Finding Fela di Alex Gibney, i corpi nell’occhio di uno smartphone in This is the Way di Giacomo Abbruzzese: una ragazza, Joy, il suo cuore diviso in due, che batte per un lui e una lei,poi suo padre con un altro uomo, sua madre e la sua compagna; corpi travestiti come quelli dell’Amara di Claudia Mollese, frammenti di memoria e di presente del centro storico di Lecce; i corpi sudati come quelli di Vacanze al mare di Ermanno Cavazzoni; Grazia Donadeo, il primo maestro donna di una banda musicale del Salento in un documentario del 1986 mai uscito in Italia, La Banda, del tedesco Klaus Voswinckel; il corpo a corpo con le immagini nei lavori di Roberto Nanni, le masse muscolari di Muhammad Ali e Joe Frazier nel suo Dolce vagare in sacri luoghi selvaggi.

Inganni, poi. Cinematografici, certo. Ed ecco arrivare Cadenza d’inganno di Leonardo di Costanzo, mentre l’inganno di Cecilia Mangini è il suo Firenze di Pratolini, realizzato nel 59’. «Ma gli li inganni sono anche quelli che viviamo quotidianamente, sociali, politici. Mi viene in mente la Grecia», spiega Pisanelli, e qui l’intreccio è con il focus di quest’anno sul cinema greco. Tre registe, Eva Stefani (Bathers e The Box), Daphné Heretakis (Ici rien e Archipels, granites dénudés) e Konstantina Kotzamani (Washingtonia). «Noi siamo in Grecia, ci sentiamo molto Grecia. Gli sguardi di queste cineaste non raccontano solo crisi e smarrimenti ma narrano anche di dignità, di coraggio, è un cinema del reale che sa essere misterioso e surreale». E non a caso, la Festa quest’anno è dedicata a Franco Corlianò, da poco scomparso: poeta, scrittore, pittore, considerato una sorta di ponte tra Grecia e la Grecìa salentina, autore della canzone grika Klama-Andramu pai (Pianto – Il mio uomo parte), molto famosa in terra ellenica e cantata per la prima volta nel ’75 da Maria Farandouri.

Movimenti, ancora. Io sto con la sposa di Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande e Khaled Soliman Al Nassiry. «Lo desideravo questo film, d’altronde non sono un feticista di anteprime, si tratta di un lavoro che ha già conosciuto parecchia fortuna. Movimento è questo per me, è dare strada al movimento stesso, superare i confini. Non si possono fermare i migranti, non si devono fermare. Hanno una potenza, un’energia vitale così forte che riescono a vincere contro muri e muretti». Il movimento è anche quello che porta Cecilia Mangini a Lipari nel 1954, sarà il suo primo reportage fotografico, lo sguardo sorpreso, discreto su un’umanità stagliata su un piccolo mondo di pomice bianca. Viaggio a Lipari, allora, questa sera: un corto, una sequenza di 46 immagini su cui scivola lieve la voce della regista, quello che diventerà parte di Cecilia! Un mondo a scatti, documentario al quale Pisanelli e Mangini stanno lavorando insieme. E poi, ancora stasera, Ella Maillart, scrittrice e fotografa svizzera, il suo viaggio in Iran e Afghanistan in coppia con la compagna Annemarie Schwarzenbach (scrittrice e fotografa anche lei, anche lei ribelle alla norma sociale ma più fragile) e poi da sola, nell’India britannica tra il ‘39 e il ’40: i suoi diari, le lettere a sua madre, i suoi scatti, le sue riprese in 16 mm, il suo film, la scoperta di mondi, di volti, di luoghi. E’ Irène Jacob a darle voce nel documentario Ella Maillart. Double Journey di Mariann Lewinsky e Antonio Bigini. «Il film sulla Maillart e gli scatti di Cecilia sono stati un’epifania per me. I loro viaggi sono le loro inquietudini. Le donne sono più Ulisse degli uomini. Ecco, di nuovo la Grecia», sottolinea ancora il direttore.

Una Festa, ancora, nel segno di Gian Vittorio Baldi, morto a 84 anni lo scorso marzo. Un omaggio al suo cinema, la capacità di cogliere l’umanità come forma, figura concreta, viva, fino ad astrarla, attraverso quattro cortometraggi: Il pianto delle zitelle e Vigilia di mezza estate (1958) Ritratto di Pina e Il bar di Gigi (1961). «È stato uno sperimentatore, lavorava sul suono, ha rinnovato linguaggi. Quest’anno, poi, sono particolarmente fiero di aver portato a Specchia Paese degli olivi di Adriano Barbano del ‘51. Noi con il cinema del reale facciamo un cinema “bastardo”, il più inventivo di tutti. I Baldi, i Mingozzi, le Mangini, i De Seta, i Giannarelli, Luigi di Gianni, forse il più demartiniano di tutti, sono tutti nel DNA del cinema che pratichiamo, sono un po’ i nostri genitori, le nostre guide. Vogliamo bene a tutti loro. Un modo di raccontare che è stato fondamentale per me e per autori come Daniele Vicari, Gianfranco Pannone, Alessandro Rossetto, Daniele Segre e tanti altri. Il loro era un cinema che sapeva praticare la messa in scena, che sapeva anche essere una meravigliosa finzione del reale, uno splendido inganno».