A vederlo non sembra avere più di tre, quattro anni. E’ steso sulla battigia con la testa rivolta verso il mare, i pantaloncini blu e la maglietta rossa zuppi d’acqua. Le braccia sono distese lungo il corpicino immobile, ai piedi porta ancora le scarpette con le quali è partito. Sembra sia solo caduto, o che si sia addormentato lungo la spiaggia come spesso capita ai bambini. Invece è morto. In un’altra immagine si vede un guardacoste fermo in piedi a un metro da lui che lo osserva, forse paralizzato dall’orrore di quello spettacolo finché non trova il coraggio di prendere in braccio quel corpicino e portarlo via.

Forse un giorno sapremo chi è quel bambino siriano morto ieri su una spiaggia turca cercando anche lui di raggiungere l’Europa. Conosceremo il suo nome e quello del villaggio dal quale proveniva, dove sono i suoi genitori e se sono sopravvissuti al naufragio in cui ha perso la vita. Per ora sappiamo solo che non potrebbe esserci immagine peggiore per rappresentare la disperazione di quanti da troppo tempo muoiono cercando una nuova vita lontano da guerre e miseria, così come non poterebbe esserci atto d’accusa più forte nei confronti di un’Europa talmente ipocrita da piangere di fronte a questa morte ancora più ingiusta perché evitabile – come sempre ha fatto davanti alle tragedie dei migranti – per poi tornare a costruire muri per impedire a bambini come questo di varcare i propri confini.

Impossibile non guardare quel corpicino inerme sulla sabbia. Chiudere gli occhi significherebbe essere complici di chi quella morte ha provocato.

Il piccolo profugo è stato trovato ieri su una spiaggia della penisola di Bodrum, in Turchia. Da quelle stesse coste era partito a bordo di un barcone diretto in Grecia insieme ad altre 16 persone. Come lui altri sei migranti sono affogati dopo che l’imbarcazione ha cominciato a fare acqua ed è affondata. Altri tre bambini e una donna sono morti in un secondo naufragio avvenuto lungo la stessa rotta. Presumibilmente siriani anche loro.

Quel bambino steso sulla spiaggia è una vittima, ma c’è da scommettere che lo sdegno per la sua morte durerà poco. A Bruxelles infatti si litiga ormai da quattro mesi sui numeri, su quanti profughi ogni Stato deve accogliere.

E’ difficile attuare anche uno straccio di accordo al ribasso che prevede la spartizione tra i 28 di appena 35mila profughi siriani ed eritrei sbarcati in Italia e Grecia, più altri 20mila che si trovano nei campi fuori dall’Europa. I ministri degli Esteri di Francia, Germania e Italia hanno firmato ieri un documento comune da discutere al vertice che si terrà in Lussemburgo venerdì e sabato prossimi e in cui si chiede di rivedere le regole in materia di asilo e «un’equa ripartizione dei rifugiati sul territorio europeo».

Siamo ancora a questo punto, che poi era il punto di partenza dell’Agenda sull’Immigrazione presentata a maggio dalla Commissione europea guidata da Jean-Claude Juncker. «Siamo decisi ad andare avanti con coraggio e velocità», ha ribadito ieri una portavoce della commissione.

Bisognerà vedere se lo permetterà l’ostruzionismo di Ungheria, Polonia, repubblica Ceca e Slovacchia (che hanno già indetto un controvertice per respingere le quote) e della Gran Bretagna, sempre più determinati nel loro rifiuto ad accogliere i profughi.

L’unica che per ora si muove è la Germania. Dopo aver annunciato pochi giorni fa l’intenzione di accogliere i profughi siriani (anche se poi è tornata indietro sulla decisione di sospendere Dublino), ieri Berlino ha annunciato di essere pronta a modificare la propria Costituzione per renderla più funzionale all’accoglienza dei profughi. In particolare è prevista una revisione delle norme che oggi consentono al Bund di finanziare i comuni solo attraverso i Lander, rendendo diretta l’erogazione dei fondi e velocizzando così gli interventi. Ma anche maggiori finanziamenti per l’accoglienza, la costruzione di nuovi alloggi e l’accelerazione delle pratiche per il riconoscimento del diritto di asilo e dei rimpatri per chi vede respinta la sua richiesta. «Non abbiamo tempo da perdere. Su questa questione vanno prese decisioni veloci», ha spiegato il ministro degli Interni Thomas de Maiziere.

E’ vero bisogna fare in fretta, perché è assurdo morire per entrare in Europa.