Un consiglio dei ministri notturno ha varato un Def molto più risicato di quello che avrebbe voluto il governo. La Nota di aggiornamento approvata prevede infatti un deficit al 2% per il 2017, quando per tutta la giornata si era pensato di poter arrivare almeno al 2,3% (se non addirittura al 2,5%), Solo 0,2 punti in più, quindi, rispetto a quanto previsto nel Def di aprile (ci si impegnava per un 1,8%). Lo squilibrio dei conti per quest’anno si attesterà invece al 2,4%. Taglio robusto anche alle previsioni di crescita: 0,8% quest’anno (anziché 1,2%) e 1% nel 2017 (invece di 1,4%). Ma in conferenza stampa il premier Matteo Renzi ha precisato subito che «l’Italia chiederà un indebitamento ulteriore di 0,4 punti percentuali per il sisma e per la gestione dell’immigrazione».

Il debito pubblico salirà ancora quest’anno, dal 132,2% del 2015 al 132,8%. Il calo è quindi rimandato al 2017, quando dovrebbe scendere di nuovo al 132,2%.

Renzi è stato piuttosto polemico rispetto all’Europa: «Non c’è flessibilità in questa Nota di aggiornamento al Def – ha spiegato – perché con una decisione che non ci convince si è deciso che vale una sola volta e noi l’abbiamo utilizzata lo scorso anno. Per me è un errore, c’è uno 0,4% massimo di circostanze eccezionali che è altra cosa rispetto alla flessibilità e riguarda elementi che nessuno può contestare che sono sisma e immigrazione». Si andrà quindi a una nuova trattativa, o – come aveva detto Renzi qualche settimana fa – i margini che ci spettano «ce li prendiamo?». Si vedrà in ottobre, quando la manovra che il governo sta approntando andrà all’esame della Commissione Ue: per ora di fatto non si sono aggiunti miliardi, in quanto l’aggiustamento dello 0,2% del deficit riequilibra le attese, giocoforza ridotte, sulla crescita.

La giornata era stata caratterizzata da costanti contatti con Bruxelles: in particolare il governo aveva cercato di spingere il più possibile sul deficit 2017. Da parte del commissario agli Affari economici e monetari Ue, Pierre Moscovici, era sembrato che fosse arrivato l’ok a uno scostamento. Ma in serata la Commissione aveva però voluto specificare che tutti i numeri «saranno sotto la responsabilità del governo italiano: noi aspettiamo la presentazione del progetto di bilancio 2017 per essere in grado di valutarlo secondo il calendario previsto». Le fonti comunitarie hanno quindi precisato come i contatti in questo periodo con le autorità italiane «non costituiscano un negoziato: nessun dato, nessuna cifra è stata concordata».

L’anno scorso l’Italia aveva già ottenuto una ampia flessibilità, pari allo 0,8% e a ben 19 miliardi di euro in più da utilizzare. Cifra che teoricamente, secondo le stesse regole europee, avrebbe già dovuto esaurire tutti i nostri margini.

Con l’Italia – aveva spiegato in mattinata Moscovici – è in corso «un buon dialogo» che va avanti «con spirito positivo». In corso, ha aggiunto il commissario agli Affari economici e monetari dell’Unione, «c’è una discussione a livello tecnico e amministrativo con il Tesoro e a livello politico con Renzi e specialmente con Padoan». Il messaggio è «che le regole vanno rispettate» e per questo la Commissione «sta aspettando le cifre e poi insieme cercheremo di ridurre il gap» tra quelle presentate da Roma e quelle richieste da Bruxelles.

Ovvio che a parte il Def, il vero banco di prova sarà la legge di Bilancio, che il nostro governo dovrà presentare alla Commissione entro il 15 ottobre. Nelle settimane successive l’esame, con il verdetto che arriverà entro metà novembre, insieme ai dati aggiornati sui nostri fondamentali.

La stessa Ue, pur ribadendo l’importanza di stare sempre «dentro le regole», non vuole esercitare una mano pesante rispetto all’Italia, come d’altronde non pensa di riservarla a paesi in difficoltà come la Spagna. Il momento politico è delicato, l’euroscetticismo dilaga un po’ ovunque e in Italia è previsto il 4 dicembre il referendum costituzionale. Passaggio che, in caso di vittoria del No, potrebbe portare a una fase di instabilità che le euroleadership vogliono evitare.

Le sanzioni contro Spagna, Portogallo o Italia sarebbero state «una cattiva decisione», perché «le sanzioni sono sempre il fallimento delle regole», ha spiegato Moscovici. Per il commissario le sanzioni sono «un incentivo» per spingere i Paesi a fare le riforme, perché è preferibile avere «un buon dialogo con i Paesi per arrivare a riforme piuttosto che sanzionare senza vedere riforme». «Non ci serve austerità ma finanze pubbliche solide», ha concluso.

Bruxelles però non guarderà soltanto al deficit nominale, anzi sembra più interessata a quello strutturale, per capire se gli sforzi chiesti a maggio (0,2%) verranno rispettati: la Commissione è intenzionata a verificare l’impegno proprio nella manovra di ottobre.

In manovra dovranno esserci necessariamente 15 miliardi per neutralizzare le cosiddette clausole di salvaguardia e non far dunque aumentare alcune accise e l’Iva. Ancora, si dovrà dare risposta al contratto del pubblico impiego: necessario a maggior ragione per il fatto che il 4 dicembre si vota per il referendum costituzionale e certo non ci si può inimicare oltre 3 milioni di lavoratori.

C’è poi il capitolo pensioni – oggi si riunirà il tavolo governo – sindacati – per cui sembrano essere disponibili soltanto 1,5 miliardi di euro: Cgil, Cisl e Uil ne vorrebbero almeno 2-2,5 per dare risposte soddisfacenti su Ape, quattordicesime, precoci. Poi ci sono le misure per le imprese, dall’Ires all’Iri, tutte incluse in Industria 4.0.