L’Unione europea si prepara a cambiare la sua politica sull’immigrazione e lo fa proprio nel giorno in cui altri 10 migranti muoiono dopo che il barcone sul quale viaggiavano nel canale di Sicilia si è rovesciato a 50 miglia dalla costa libica, mentre quasi altri mille profughi sono stati salvati dalle motovedette della Guardia costiera insieme a una nave della Marina militare che partecipa alla missione Triton e ad alcuni mercantili. E proprio la Libia è uno dei punti su cui l’attenzione europea si concentra maggiormente. Il premier Matteo Renzi ne ha parlato ieri a Mosca con Vladimir Putin nella speranza che la Russia possa prima o poi contribuire alla pacificazione del Paese nordafricano, mentre è guardando a quanto accade sull’altra sponda del Mediterraneo che ieri Federica Mogherini, nel corso dei lavori della commissione europea sull’immigrazione, ha sottolineato la necessità di un intervento più incisivo. «Occorre costruire un’autorità statale in Libia che abbia il controllo del territorio e delle frontiere di terra e in mare», ha detto l’alto rappresentante della politica estera dell’Ue.

Già, ma come fare? In queste ore sembrano concretizzarsi gli sforzi di Bernardino Leon, il mediatore Onu che da mesi tenta una difficile trattativa tra Tripoli e Tobruk per contrastare l’avanzata dell’Is in Libia. Un eventuale accordo tra le fazioni in guerra non potrebbe non avere conseguenze anche sulla gestione dei flussi in partenza da quel Paese. Nel frattempo Bruxelle prova a riorganizzare il proprip intervento, anche se con difficoltà. Tradotte dal linguaggio della diplomazia, le parole della Mogherini si prestano in realtà a più di un’interpretazione. E’ risaputo infatti che, al di là del cordoglio per le tragedie in mare, fino a oggi l’Unione si è opposta a politiche di maggior apertura nei confronti dei migranti, puntando sempre più sul controllo delle frontiere. E questo proprio per l’opposizione dimostrata ogni volta dai Paesi del Nord Europa. La riprova è proprio nella missione Triton, che però ora potrebbe cambiare natura. O almeno è quello che si intuisce dalle parole del vicepresidente della commissione, Frans Timmermans, che farebbero sperare a una nuova missione pensata sul modello italiano: «L’immigrazione è un problema che riguarda tutti gli Stati membri, non è più Mare nostrum ma Europa nostra» ha detto Timmermans, mentre il commissario Ue all’Immigrazione, Dimitri Avramopoulos, ha ricarato la dose: «Triton ha salvato migliaia di vite umane, ma nel Mediterraneo dobbiamo fare di più. Non abbiamo altra scelta».

Di sicuro per ora c’è solo il fatto che il processo di Khartoum sembra procedere nella sua attuazione. L’accordo, stipulato nello scorso mese di dicembre tra l’Ue e alcuni paesi africani, prevede l’apertura di campi in Africa dove accogliere i profughi in attesa di esaminare le domande di asilo. Il problema è che ne fanno parte anche governi il cui tasso di democrazia interna lascia a dir poco a desiderare, come l’Eritrea e il Sudan. Un particolare che non sembra però preoccupare più di tanto l’Unione. «Non dobbiamo essere ingenui», ha spiegato ieri Avramopoulos facendo riferimento ai regimi con cui Bruxelles si prepara a lavorare. «Noi non li legittimiamo, ma vogliamo cooperare contro i trafficanti di esseri umani. Li coinvolgiamo e li mettiamo di fronte alle loro responsabilità, ma non offriamo legittimazione politica o democratica ai loro regimi».

Ieri sera la nave Dattilo della Capitaneria di porto è arrivata ad Augusta con le salme dei dieci migranti morti nel naufragio. A bordo anche i 121 superstiti e altri 318 profughi salvati in una precedente operazione di soccorso. Con le vittime di ieri sale a 39 il numero dei migranti morti nel Mediterraneo nel 2015, mentre sono 8.882 le persone sbarcate nei primi due mesi dell’anno (il 43% il più rispetto allo stesso periodo del 2014). 67.128 sono invece gli stranieri presenti nelle strutture di accoglienza. La tragedia ha provocato le solite reazioni leghiste: «Altri 10 morti e 900 clandestini pronti a sbarcare. A Roma e a Bruxelles ci sono tasche piene e mani sporche di sangue. Stop alle partenze, stop alle morti, stop invasione», ha detto il segretario Matteo Salvini. Ma Carroccio a parte sono in molti a chiedere di ripristinare Mare nostrum. Tra i tanti il Consiglio italiano rifugiati, la Cgil e l’Arci: «Ancora una volta – scrive quest’ultima al governo – chiediamo di fare scelte concrete e non chiacchiere: aprire canali umanitari che permettano alle persone di venire a chiedere asilo in Europa e riattivare Mare nostrum».