Una sala piena, domenica alla Casa Internazionale delle donne di Roma, e una discussione ricca che è proseguita per tutto il giorno. Proposta dal gruppo delle femministe del mercoledì, con un titolo – Curare la differenza. Tra gender, generazione, relazioni sessuali e famiglie Arcobaleno – e un testo concepito come una serie di interrogativi e risposte aperte (si può leggere su donnealtri.it). Elettra Deiana ha inserito l’occasione nell’emergenza di questi giorni: incontro mantenuto «per non farsi sopraffare», e anche perché alla «guerra» aperta dal terrorismo – e a certe riposte occidentali – non è affatto estraneo il tema delle identità sessuali, in particolare di quella maschile.

Non intendo tentare un resoconto. Ma solo segnalare la novità di uno spazio, mentale e culturale, e di uno scambio che ha fatto immediatamente giustizia delle contrapposizioni strumentali che dominano il dibattito pubblico da un lato sulla ipotesi di legge per le «coppie di fatto», dall’altro sulla cosiddetta «teoria del Gender» nelle scuole. Tutto qui sembra ridotto ai rischi dell’«utero in affitto», e alla contrapposizione tra fanatici difensori cattolici della «famiglia naturale» e diabolici educatori impegnati a suggerire ai bambini improbabili mutazioni sessuali.

Ma anche un conflitto più fine tra certe interpretazioni queer sulla possibilità di scegliere e costruire il proprio sesso e la preoccupazione di una parte del femminismo che ciò cancelli la differenza dei sessi e nei sessi, e finisca per contribuire a un processo di neutralizzazione nelle società del neoliberalismo, si è espresso soprattutto nel desiderio di una ricerca comune più approfondita. Lontana dalle rigidità ideologiche, dagli appiattimenti identitari, e attenta ai vissuti reali delle donne e degli uomini che sono alle prese di una ricerca nuova sul terreno della maternità e della paternità. Sulla qualità dei legami affettivi, tra persone dello stesso sesso e di sesso diverso. E di fronte a situazioni di disagio e di sfida complesse: la mancanza di diritti elementari; la difficoltà delle innovazioni scientifiche (che spesso promettono cose che non possono mantenere); il permanere di pregiudizi radicati; un contesto mediatico poco capace di ascoltare, informare, restituire con oggettività le posizioni reali.

C’erano esponenti del femminismo della differenza, giovani femministe più critiche, uomini e donne delle associazioni glbt e delle famiglie arcobaleno, uomini coinvolti in una ridefinizione della maschilità.
L’idea della «maternità surrogata», o «gestazione per altri», è stata generalmente criticata, in vari casi del tutto rifiutata, soprattutto nella dimensione della mercificazione del corpo. Diversi interventi hanno anche dubitato della concreta possibilità di una dinamica del «dono». E tuttavia non sono mancati i racconti di esperienze di relazioni positive e durature tra la madre «donatrice» e la famiglia o i singoli che si prendono cura del bambino.

A me interessa una osservazione circolata in diversi contributi: non si può rimuovere la differenza tra il maschio e la femmina nell’atto del generare. Il mio corpo non può ospitare la vita di un’altra persona. Ma se questo è un limite – se riconosciuto – può essere rovesciato in una nuova ricchezza relazionale con le donne, e con gli altri uomini, tutti da ciò accomunati, al di là degli orientamenti sessuali. E essere il punto da cui reinventare un diverso ruolo paterno, per chi lo desidera senza istinti «proprietari».