Il sospiro di sollievo deve essersi fermato a mezza gola, a chi lo ha tirato giovedì nelle stanze del Nazareno o nelle piazze tinte di nuovo di nero. Ignazio Marino non ha ancora messo nero su bianco le dimissioni annunciate giovedì sera, al termine di una giornata di pressing totale. Il sindaco di Roma le «formalizzerà nella giornata di lunedì 12 ottobre consegnandole nelle mani della presidente dell’Assemblea capitolina, Valeria Baglio», annuncia una nota del Campidoglio. Solo in quel momento scatteranno i venti giorni previsti dall’articolo 53 dell’Ordinamento degli enti locali per rendere le dimissioni efficaci ed irrevocabili. E così la deadline per il commissariamento della capitale si sposta al primo novembre.

Un motivo di stress in più anche per il Vaticano, che dalle colonne dell’Osservatore romano esce ancor più allo scoperto accusando lo scomodo sindaco di ogni responsabilità del ritardo accumulato sulle opere giubilari. «Ora la capitale, a meno di due mesi dall’inizio del Giubileo, ha la certezza solo delle proprie macerie – scrive l’organo della Santa Sede – E Roma davvero non merita tutto questo».
Sul versante della “pietra dello scandalo”, invece, gli uffici del Campidoglio fanno sapere che Marino già prima di cedere alle pressioni del suo partito aveva firmato e consegnato alla ragioneria del Comune un assegno da 19.704,36 euro per coprire le spese di rappresentanza sostenute con la carta di credito comunale dall’inizio del suo mandato. In ogni caso, solo lunedì gli inquirenti inizieranno a lavorare sul fascicolo, aperto finora contro ignoti e senza ipotesi di reato dopo gli esposti di Fratelli D’Italia e del M5S. E ovviamente, in procura nessuno si sente di escludere che anche Marino potrebbe entrare tra gli iscritti sul registro degli indagati per il reato di peculato. Ma non è la questione giudiziaria, sulla quale si concentrano i rumors più pettegoli, ad aver influenzato il sindaco dem a cedere alle pressioni del suo partito, e neppure a suggerirgli di congelare le proprie dimissioni per un week end.

Ieri, mentre andava in onda l’ennesimo dramma sul «giallo dimissioni», con il vicesindaco Marco Causi che le aveva date per ufficializzate, la presidente d’Aula che smentiva, e i grillini che lanciavano l’allarme, il chirurgo dem ha trascorso la sua giornata lavorativa tentando di schivare la massa di giornalisti e operatori che assediano ancora Palazzo Senatorio: si è mostrato sereno e ha celebrato un matrimonio. E mentre dal suo partito ha ricevuto attestati di «vicinanza» solo da due persone, come ha spiegato nell’unica intervista rilasciata a La Stampa – «il ministro Graziano Del Rio e Giovanni Legnini, vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura» – ha invece incassato la solidarietà dei sindaci di New York e di Parigi.

Al contrario, Matteo Renzi, pur senza la certezza matematica di aver messo le briglie al ribelle dem, ha incontrato ieri al Nazareno per alcune ore Matteo Orfini per affrontare il nodo del Giubileo, puntando a «replicare il miracolo Expo», e anche per aprire una prospettiva di portare il Pd almeno al ballottaggio con il M5S nelle prossime amministrative romane. Nel partito però devono anche aver rifatto i conti su una possibile mozione di sfiducia, nel caso di ripensamenti del “marziano”. Non a caso il capogruppo dem in Campidoglio, Fabrizio Panecaldo, torna sul punto e ammette che il gruppo consiliare non ha stilato «alcuna mozione di sfiducia». «Lo dico per onore della verità», aggiunge ricordando che giovedì «c’era un incontro tra Orfini e Cento per parlare di una possibile mozione, poi sfumata in seguito alle dimissioni». Sel invece ribadisce di essere disposta a sostenere ancora il sindaco Marino a patto di confrontarsi su quel programma con cui è cominciata l’esperienza di governo del centrosinistra romano e naufragato con il «golpe politico di luglio» del Pd, come lo chiama il capogruppo vendoliano, Gianluca Peciola.

Orfini, dopo aver incontrato l’assessore alla Legalità Sabella (citato impropriamente tra i papabili commissari post Marino) e il premier/segretario, spiega al Tg1: «Oggi abbiamo il dovere di garantire la soluzione dei problemi dei romani: insieme al governo lo faremo nei prossimi mesi». La «garanzia», anche contro il pericolo paventato dal sindaco dimissionario del ritorno delle mafie, «è il Pd: intensificheremo la lotta alla mafia ancora di più».

Ma ora «lo scenario che si apre – come osserva l’Osservatore Romano – è in parte segnato dalle norme in vigore». A cominciare dal 2 novembre, infatti, se non ci saranno ripensamenti di sorta, il prefetto Gabrielli, già a capo della cabina di regia del Giubileo, nominerà una commissione prefettizia che porterà a termine, entro 90 giorni, la procedura di scioglimento del Consiglio, con la sospensione di tutte le cariche istituzionali. Contestualmente sarà nominato un commissario straordinario facente funzione di sindaco che rimarrà in carica fino alle elezioni della prossima primavera.

L’Anno santo francescano, che si apre l’8 dicembre, sarà a quel punto a metà percorso. Quanto peseranno le posizioni della Chiesa nella campagna elettorale, dipenderà dagli altri sacrifici che il Pd saprà offrire nel frattempo.