Il Black Mamba che ultimamente ha fatto parlare di sé i media non è il soprannome del campione di pugilato Wilberforce Shihepo, né tanto meno il letale serpente africano, ma Mdmb-Chmica, un cannabinoide sintetico che i venditori online del deep web (la parte sommersa e oscura della rete) vendono a prezzi che variano da 0,50 a 1,10 ฿ (bit coin) all’ettogrammo (da 250 a 600 euro circa). Questo principio attivo è solo uno dei tanti componenti della famiglia dei cannabinoidi sintetici.

A fine agosto l’European Monitoring Centre on Drugs and Drug Addiction (l’Osservatorio Europeo delle droghe) ha raccomandato agli stati membri della Ue l’inserimento dell’Mdmb-Chmica nelle liste delle sostanze con restrizioni alle vendite (vedi http://www.emcdda.europa.eu/news/2016/nps-Commission). Lo ha fatto a seguito di rapporti che lo indicavano come concausa di morte in ventotto casi e di intossicazione acuta in altri venticinque in otto diversi stati dell’Ue.

La combinazione tra nome esotico e giovani vittime attribuibili (forse) all’uso di questa sostanza, ha catturato l’attenzione dei media che troppo spesso trattano gli argomenti relativi all’uso di sostanze psicotrope in modo superficiale ed allarmistico, arrivando a volte a fare da cassa di risonanza per mezze bufale e vere e proprie leggende urbane, di volta in volta: fiumi di Krokodil (oppiaceo derivato dalla codeina) che sommergono il nostro paese, la «droga dello stupro» che si diffonde nelle discoteche o il dilagare della marijuana tagliata scientemente e su larga scala con l’eroina da parte del crimine organizzato per rendere schiavi i nostri giovani. La percentuale di verità in queste notizie è quasi sempre inferiore a quella di principio attivo nella canapa da fibra.

Sarebbe utile invece porsi una domanda: che effetto avrebbe la legalizzazione dell’uso ludico della cannabis sulla diffusione dei cannabinoidi sintetici? Inventare e commercializzare una molecola con effetti simili al Thc diventa un modo per aggirare la norma: finché non viene scoperta e bandita può essere venduta senza rischio, poi se ne inventerà un’altra, nel frattempo saranno i consumatori stessi a subirne gli eventuali effetti collaterali tossici, magari anche letali. Probabilmente ciò non accadrebbe se fosse possibile comprare cannabis vegetale “originale” ad uso ludico in modo controllato, così come avviene in una qualunque enoteca per vini di qualità come Barolo, Chianti e Nero d’Avola.

Gli stessi cannabinoidi sintetici, se resi illegali, finiscono per farne nascere altri sconosciuti, che peraltro anche loro non dovrebbero essere banditi perché considerati “cattivi per definizione”. A questo proposito è interessante lo Psychoactive Substances Act del 2013 del parlamento neozelandese, perché non vieta le sostanze a causa del loro effetto psicotropo ma chiede ai produttori di nuove molecole di testarne preventivamente gli effetti collaterali per limitare al massimo rischi e danni: un po’ come richiesto nel caso dei farmaci ma anche dei comuni prodotti alimentari. Una normativa che si basa sulle evidenze scientifiche e che, superando pregiudizi morali e ipocrisie, permette l’acquisto di prodotti venduti dichiaratamente per il loro effetto psicoattivo ma vuole garantire qualità e informazione al consumatore.

Le interviste e i questionari proposti ai giovani frequentatori di festival e free party, e i primi riscontri dell’analisi chimica delle sostanze (drug checking) offerta dal progetto Baonps, non evidenziano consumi significativi di cannabinoidi sintetici, quanto piuttosto il costante apparire sulla scena di altre nuove sostanze psicoattive. Anche in questi casi però, la limitazione dei danni e dei rischi è legata al pragmatismo delle politiche e delle leggi.

*progetto Baonps