Al suo arrivo a Tokyo Rodrigo Duterte, il presidente delle Filippine, è stato accolto come un idolo da una folla di quindicimila filippini. Dopo i tre giorni di visita di stato la reazione giapponese non è così univoca. Riassume bene gli umori il quotidiano Mainichi che lo descrive come un opportunista. Duterte in fondo dice quello che il Giappone si aspetta di sentire: dimostrerebbe disponibilità sulle questioni marittime che stanno a cuore a Tokyo, ma solo in vista dei capitali di cui ha bisogno.

Anche le fonti vicine al governo, citate dalle agenzie, ritengono che sia molto probabile che cambi idea su quel che dice, per questo le aspettative ufficiali sono basse e il focus è tenuto sul mantenere le relazioni di lungo periodo.

Tre questioni sono state al centro della visita: la cooperazione economica, ovvero le ricerca filippina di capitali; la cooperazione in materia di sicurezza marittima, ovvero la ricerca nipponica di alleati; e infine la spinosa questione dell’alleanza con gli Stati uniti. Le prime due sono state oggetto di accordi firmati tra i due paesi, mentre la terza resta di fatto appesa ai futuri sviluppi della politica estera del leader filippino.

Alla cena di benvenuto Abe ha brindato con il filippino Mabuhay! e sul versante economico ne ha ragione. Duterte vuole investimenti, soprattutto in ferrovie, per esempio nel Mindanao, una regione storicamente afflitta dalla guerriglia, e li avrà. Il presidente filippino si porta a casa, inoltre, 43 miliardi di euro in prestiti per lo sviluppo dell’agricoltura insieme all’impegno per investimenti consistenti in infrastrutture sia a Manila che nel resto del paese.

Il Giappone investe già massicciamente nelle Filippine, sia direttamente che indirettamente, tramite la Banca Asiatica dello Sviluppo. Abe, poi, supporta la campagna di Duterte contro la droga e ha offerto aiuto per organizzare centri di riabilitazione nel paese.
La sanguinosa campagna è un ostacolo alle relazioni con gli Stati uniti, viceversa la politica interna filippina non costituisce un freno per il Giappone. Le Filippine portano a casa quello che Duterte, e in fondo anche Abe, vuole: solidi rapporti economici e commerciali. Il primo ministro giapponese aveva, però, un’altra priorità che condivide con gli Stati uniti: contenere la Cina, soprattutto in tema di rivendicazioni marittime. Non a caso giovedì mattina i due capi di stato hanno guardato insieme le manovre militari della guardia costiera giapponese a Yokohama e la parte più lunga della dichiarazione congiunta del vertice si sviluppa proprio attorno a questo punto.

Il Giappone teme il silenzio di Duterte sulle isole contese nel mar cinese meridionale. La paura è che significhi accettazione dello status quo e un allentamento della pressione sulla politica su Pechino.

Il Giappone concede comunque un mutuo agevolato per l’acquisto di due navi da pattugliamento e proseguirà con la consegna di altre 10 unità già promesse e di un aereo da esercitazione.

Durante la visita a Yokohama Duterte si è espresso a favore di esercitazioni congiunte con le forze navali giapponesi, proprio mentre lanciava i suoi strali su quelle con gli Stati uniti. Il problema delle navi non è averle, ma volerle usare.

Il 20 ottobre Duterte rompeva, a mezzo stampa, con la presenza militare americana nell’area, ma il giorno prima della visita tranquillizzava i media giapponesi sulla solidità dell’alleanza.
Così Abe si è offerto di fare da ponte tra i due alleati e avrebbe fatto le sue pressioni in una riunione ristretta con Duterte. Il cardine della politica estera giapponese è in gioco.