Se la battaglia contro l’Ebola in questa fase è anche, forse soprattutto, una operazione di pubbliche relazioni – si direbbe che le autorità sanitarie americane stiano facendo di tutto per perderla. A dieci giorni dalla morte di Thomas Eric Duncan, il «paziente zero» giunto in Texas dalla Liberia, sono all’ordine del giorno falsi allarmi che di volta in volta spediscono squadre anticontaminazione su aerei o fanno scattare evacuazioni – come quella l’altro giorno del campus del Southwestern College in provincia di San Diego. In quel caso è stata una studentessa che si è inventata una sorella malata per giustificare un assenza, ma basta un tweet un illazione o una burla di cattivo gusto per mandare in tilt una scuola un aeroporto o un ospedale.

La crisi di nervi ha valicato il continente: Belize e Messico hanno respinto una nave da crociera su cui è imbarcata una tecnica di laboratorio dell’ospedale del Texas che aveva eseguito le analisi del sangue di Duncan. Malgrado l’intercessione personale del segretario di stato Kerry per tentare di rimpatriare l’infermiera per via aerea da Belize City, il governo ha negato il permesso per l’attracco e la nave sta ora facendo rotta di ritorno verso Galveston con la persona in questione isolata in cabina – pur non presentando alcun sintomo . Scene da pandemia nazionale insomma, dietro alle quali tuttavia ci sono per ora appena una manciata di effettivi casi di malattia. Ad oggi in Usa se ne sono registrati 7 oltre a Duncan, cinque pazienti rimpatriati dall’Africa occidentale (tre missionari, un medico e un video operatore della Nbc). Di questi tre sono guariti e sono stati dimessi, quattro sono tuttora in ospedale comprese le due infermiere contagiate dopo aver prestato cure a Duncan, Nina Pham e Amber Vinson attualmente ricoverate all’Nih di Bethesda e alla Emory di Atlanta.

Proprio l’ospedale in cui è avvenuto il contagio delle due giovani donne, il Texas Health Presbysterian di Dallas, si è convertito in «focolaio» americano e l’attuale psicosi è in gran parte imputabile all’incredibile serie di abbagli che vi sono avvenuti. Innanzitutto l’iniziale mancata diagnosi di Duncan, febbricitante e appena arrivato dalla Liberia ma rispedito a casa con aspirina e antibiotici. Poi le apparenti mancanze nell’osservare il protocollo che hanno portato al contagio delle infermiere. A queste sono seguite «sviste» nel monitoraggio cautelare degli individui a rischio, applicato solo ai «contatti» di Duncan ma non al personale che lo aveva curato a cui non è ad esempio stato sconsigliato di viaggiare. Così la tecnica del laboratorio di analisi è andata in crociera e Vinson si è recata a Cleveland per preparare un matrimonio: ora sono sotto osservazione i clienti del negozio di abiti da sposa in cui quest’ultima ha passato alcune ore. La commedia degli errori è poi proseguita anche da parte dello stesso Center for Disease Control incaricato di gestire la strategia nazionale.

Agenti del Cdc avrebbero dato il permesso ad Amber Vinson di prendere un volo di ritorno a Dallas, nonostante l’infermiere avesse comunicato di avere la febbre, con il risultato di aver moltiplicato esponenzialmente i potenziali contatti di un individuo infetto, ampliandoli ai passeggeri dei due aerei su cui ha viaggiato Vinson. La Frontier Airlines ha notificato circa 800 passeggeri, quelli sui voli della Vinson più quelli di alcuni voli successive che hanno utilizzato gli stessi aeromobile, di mettersi a disposizione per monitoraggio medico. Fra questi alcuni studenti di scuole in Texas e Ohio, ora chiuse.

Ad ogni abbaglio – progressivamente più inconcepibile dato il livello di psicosi – viene esponenzialmente danneggiata la credibilità proprio delle autorità preposte a mantenere la calma. Con la sensazione sempre più diffusa di un’autorità allo sbando, cominciano prevedibilmente ad arrivare le prime richieste di dimissioni di Thomas Frieden direttore delle Cdc già messo sotto torchio da una commissione parlamentare che ha aumentato la pressione politica su Obama.

In risposta il presidente ha nominato un commissario speciale, Ron Klain, già consigliere politico del vicepresidente Biden, non un medico ma un avvocato e politico che dipenderà dal dipartimento di homeland security e antiterrorism, rafforzando la sensazione di una nomina politica più che operativa.