Due felici sorprese nel concerto di giovedì scorso all’Accademia Filarmonica Romana. La musica splendida dell’oratorio La Giuditta, scritto nel 1697 da Alessandro Scarlatti, un capolavoro di ascolto raro, proposto in un’esecuzione viva e toccante quanto esemplare per rispetto della prassi esecutiva antica (ottimi solisti Francesca Aspromonte, Luca Cervoni e la bravissima Hillary Summers). E poi il debutto dell’ensemble Concerto Romano,che da poco si sta affacciando alla notorietà, fra dischi premiatissimi e affermazioni europee. Alessandro Quarta, giovane musicista e musicologo, ha fondato e guida l’ensemble dai suoi primi passi.

Perché ha scelto la Giuditta per il vostro debutto alla Filarmonica? 

Sono sempre stato attratto da questo lavoro perché è una vera gemma, che possiede una forte concentrazione teatrale, quasi fosse un cardine fra oratorio e teatro d’opera. Si tratta di musica magnifica e toccante e ci permette di ricordare Lino Bianchi, studioso recentemente scomparso, che di queste partiture aveva curato le prime edizioni critiche.

Come è nato Concerto Romano? 

L’inizio dell’avventura si può datare al 2001, con un concerto dedicato al secentesco Francesco Foggia, a Roma. L’attività stabile è cominciata nel 2006, con le esecuzioni degli oratori di Giacomo Carissimi nella basilica di San Vitale a via Nazionale, un luogo dove abbiamo trovato grande fiducia e sostegno. Poi sono arrivati i primi impegni internazionali, i festival di Herne, Halle, Karlsruhe, il festival Resonanzen di Vienna, il primo disco. E per fortuna sono seguiti anche una serie di debutti italiani.

Perché vi concentrate sul repertorio romano, indicato addirittura nel nome dell’ensemble? 

La vicenda musicale romana è speciale, spazia da Palestrina fino alla fine del Settecento e ha caratteri di notevole specificità, tecnici e estetici. La nostra non è però una curiosità storico-musicale fine a sé stessa ma parte dal legame profondo, umano, direi affettivo, con il territorio. Da bambino mio padre mi portava ogni sabato a scoprire i monumenti della Roma barocca. È stata una scuola utilissima: le meraviglie artistiche, con la loro ricchezza emotiva, non devono restare legate al solo aspetto visivo, ma possono fiorire anche sul piano sonoro, ed è quel che cerchiamo di fare, in modo vivo, senza alcun intento ‘museale’.

Anche i vostri progetti discografici seguono questo impianto? 

È vero: il primo disco ha preso spunto dalla nuova datazione, al 1511, della visita di Martin Lutero a Roma, per creare una ‘colonna sonora’ delle musiche che il religioso poteva aver ascoltato nella capitale della Cristianità. Un secondo disco Sacred music for the poo, indaga la musica religiosa scritta per i poveri, partendo dall’esperienza di San Filippo Neri in Santa Maria in Vallicella.

E i prossimi impegni? 

Il primo è fissato per il mese di gennaio al Konzerthaus di Vienna per la cantata «la Gloria di primavera» di Scarlatti, poi molti concerti in Germania, dove a Luglio rievochiamo la Battaglia di Lepanto sul piano musicale, insieme a un gruppo turco che propone musica religiosa ottomana.