La ricetta per la crescita? Una maggiore finanziarizzazione dell’economia; espandere il sistema bancario ombra; rilanciare le cartolarizzazioni; abbattere gli ultimi controlli sui movimenti di capitale. Sembrerebbe uno scherzo di cattivo gusto, considerando che sono probabilmente le operazioni maggiormente responsabili della crisi degli ultimi anni. Purtroppo invece è tutto vero, in questa paradossale Unione Europea.

La ripresa stenta, mancano gli investimenti e le piccole imprese non hanno accesso al credito? Le cause non vanno ricercate nei disastri della finanza e in anni di austerità. Al contrario, per definizione la finanza pubblica è il problema, quella privata invece la soluzione.

È questo il quadro teorico in cui nasce la Capital Markets Union o CMU, presentata nei giorni scorsi dalla Commissione europea. Semplificando, un insieme di iniziative mirate alla creazione di nuovi canali di finanziamento per le piccole e medie imprese, le infrastrutture e particolari settori economici. Alla base, l’idea che se le banche non prestano abbastanza e gli investimenti pubblici sono un’eresia, ecco che la soluzione passa da un’ulteriore espansione della sfera finanziaria.

Parliamo di canali alternativi a quello bancario, favorendo il sistema bancario ombra, o shadow banking system che non deve sottostare alle regole che riguardano le banche; lo stesso sistema finito sotto accusa come uno dei principali responsabili della crisi. Parliamo delle cartolarizzazioni che permettono alle banche di rivendere sui mercati i crediti erogati, moltiplicandoli all’infinito ed eludendo le normative prudenziali; esattamente le operazioni che solo pochi anni fa hanno consentito di erogare i mutui subprime.

Ancora, nella CMU si propone l’abbattimento degli ultimi controlli sui movimenti di capitale. Capitali sempre più fuori controllo in un’UE dove leggi e fisco si fermano alle frontiere nazionali. Ancora peggio, l’idea che debba essere la finanza privata a realizzare la stessa integrazione europea. Nel momento in cui non si può nemmeno parlare di trasferimenti fiscali, come colmare il divario tra nazioni e regioni europee? Semplice, abbattiamo ogni controllo e «naturalmente» i capitali andranno dalle zone più ricche verso quelle più povere, dai cittadini e fondi pensione dei Paesi forti verso la periferia. Con la CMU si esaspera lo stesso principio che ha portato le banche tedesche e francesi a inondare di soldi la Grecia per anni, salvo lasciarla sull’orlo del baratro con lo scoppio della crisi. Abbiamo delegato alla finanza privata l’intero progetto di integrazione europea.

Di fronte a una finanza ipertrofica, instabile e autoreferenziale, il dibattito attuale dovrebbe ruotare intorno a come ridurre il gigantesco casinò e contestualmente riportare almeno una parte della liquidità fine a sé stessa verso l’economia «reale», verso il finanziamento di imprese e famiglie, verso investimenti produttivi. Farlo significherebbe applicare finalmente una tassa sulle transazioni finanziarie, separare le banche commerciali e di investimento e via discorrendo. Temi su cui nel migliore dei casi si va avanti con il freno a mano tirato. Mentre la regolamentazione della finanza sembra passata di moda, le lobby rialzano la testa.

Una delle principali che agisce su scala europea, e nel cui board siedono dirigenti di banche quali Goldman Sachs, JP Morgan, Citi, BBVA, Credit Suisse, BNP Paribas, HSBC e diverse altre, ha diffuso nei giorni scorsi un comunicato per segnalare che la Capital Markets Union è «un’iniziativa faro dell’Unione Europea», e che ne sono «pieni sostenitori». Pochi dubbi sul sostegno delle più grandi banche del mondo. Molti, moltissimi, sulla direzione di questa Unione Europea, lanciata contro un muro e che continua ad accelerare.