Ora la palla sembra tornare a Pechino. Il riconoscimento dell’Fmi disposto a inserire lo yuan nel paniere delle monete che compongono i «Diritti speciali di prelievo», è un grande successo per Xi Jinping e la banca centrale cinese, ma richiede anche ulteriori passaggi. Intanto, è bene sottolineare, che si tratta di un fatto importante, per quanto tardivo, la cui rilevanza «difficilmente può essere sopravvalutata» e rappresenta un «incoraggiamento alle riforme».

È quanto ha sostenuto ieri l’agenzia di stampa ufficiale Xinhua, sottolineando che l’ingresso della valuta cinese nel paniere da parte del Fondo monetario internazionale «è una conseguenza naturale della crescita dello yuan». Certo l’evento non arriva proprio nel momento più forte, economicamente parlando, del paese, ma la soddisfazione dalle parti di Pechino è evidente. La moneta – come ha scritto la Xinhua – è largamente diffusa in tutto il mondo e «può già essere usata liberamente nei pagamenti internazionali», anche se «rimangono alcuni controlli sul conto capitale». Si tratta di un «miglioramento del sistema monetario internazionale, che ha smesso di trascurare le voci delle economie emergenti». Inoltre, conclude l’agenzia, la decisione dell’Fmi «impegna la Cina a liberalizzare il suo sistema finanziario, rendendolo più sofisticato ed efficiente».

Ed eccoci al punto cruciale. La decisione dell’Fmi (su spinta di Usa, Germania, Regno unito e Francia) premia alcune scelte della dirigenza cinese, ma ovviamente finisce per determinarne, o meglio richiederne, altre. Liberalizzare, aprire i mercati finanziari, rendere la Cina più aperta – anche – a potenziali speculazioni dalle quali Pechino si è sempre tenuta al riparo? Può essere. Intanto si parte da quanto fatto, come sottolineato dai principali quotidiani finanziari del mondo. Ieri il Wall Street Journal, ha scritto che «l’inclusione prevista segnerebbe il fiore all’occhiello per il banchiere centrale della Cina, Zhou Xiaochuan, e i suoi luogotenenti, che hanno costruito il supporto intorno all’idea che lo stato dello yuan in finanza dovrebbe corrispondere al peso della Cina come potenza emergente».

Per questo, nel tempo, la banca centrale «ha spinto attraverso un gran numero di cambiamenti, ad esempio i tassi di interesse più liberi e di più facile accesso per gli investitori stranieri nei mercati della Cina nonostante l’opposizione dei potenti gruppi di interesse». Ma il capitale finanziario ha sempre fame, vuole altro, vuole andare oltre. Tanto che la mossa del Fmi può essere vista proprio in quest’ottica: Pechino ha promesso le riforme, ci crediamo, ora però vadano avanti. Il signor Zhou, scrive infatti il Wsj, «e qualsiasi suo successore» dovrà premere per ulteriori cambiamenti «nell’economia cinese per trasformare lo yuan in una valuta globale».

Sulla novità si è espressa naturalmente la People’s Bank of China, rassicurando i mercati del fatto che non ci saranno «cambiamenti improvvisi» nel valore dello yuan dopo che la valuta cinese è stata aggiunta a dollaro, euro, yen e sterlina nel paniere.

Lo ha affermato ieri in una conferenza stampa a Pechino il vicegovernatore della Pbc, Yi Gang. «È un’importante decisione simbolica che riconosce la statura del reminbi (lo yuan, ndr) e ci ha resi molto felici», ha detto. Yi Gang ha poi sottolineato che «non ci sono le basi per una ulteriore svalutazione dello yuan», rassicurando forse un po’ tutti. «Il nostro atteggiamento verso il tasso di cambio non è mutato e le nostre riforme di apertura del mercato continueranno senza sosta», ha aggiunto.

Dopo essere cresciuto negli anni scorsi di circa il 30% rispetto al dollaro, lo yuan ha subito una svalutazione l’estate scorsa, facendo piombare nel panico i mercati internazionali, dopo la crisi che ha investito le borse cinesi (per ragioni varie, tra le quali potrebbero aver pesato scontri interni al partito comunista). Gli analisti ritengono che in prospettiva il valore della moneta cinese scenderà ancora per aiutare a rilanciare le esportazioni in un momento di difficoltà dell’economia. Infine, secondo il Financial Times, funzionari del Fmi avrebbe negato qualsiasi trattamento speciale e hanno affermato «che il ruolo della Cina nell’economia globale ha reso importante considerare il renminbi».