Aziz Yiazji non aveva bisogno del rapporto della Banca Mondiale per conoscere la condizione economica della Striscia di Gaza. La vive sulla sua pelle tutti i giorni. Da anni non riesce a trovare un lavoro che duri, nel migliore dei casi, più di qualche settimana. «Sono laureato, parlo bene l’inglese, mi intendo abbastanza di informatica ma devo adattarmi a fare di tutto, perchè non c’è lavoro per nessuno a Gaza», ci racconta. Il blocco israeliano, prosegue Yiazji, «ha ucciso la nostra economia e i bombardamenti (della scorsa estate,ndr) hanno cancellato molte delle fabbriche ed imprese. I nostri contadini spesso non possono andare alle coltivazioni perchè sono vicine al confine dove i soldati israeliani sparano a vista. E non puoi neppure sognare di andare via perchè Israele ed Egitto non ci permettono di lasciare Gaza». Chi è stato nella Striscia sa che questo quadro drammatico non è nuovo, esiste da anni, ed è stato aggravato dall’ultima offensiva militare israeliana che ha fatto migliaia di morti e feriti e ridotto in macerie decine di migliaia di abitazioni ed edifici civili. Eppure è importante che un organismo come Banca Mondiale abbia denunciato, con un rapporto reso pubblico a metà settimana, che a Gaza la vita è impossibile, evidenziando un dato: il blocco israeliano della Striscia, cominciato nel 2006 e inaspirito dopo la presa del potere da parte di Hamas nel 2007, e le offensive militari del 2008-9, del 2012 e del 2014, hanno reso Gaza la regione del mondo con la disoccupazione più alta.

Senza quelle offensive militari e le conseguenze del blocco, sottolinea la Banca Mondiale, il Pil di Gaza oggi sarebbe più alto di almeno quattro volte. Invece l’assedio israeliano, aggravato dalle restrizioni durissime imposte dall’Egitto alla frontiera di Rafah, ha ridotto il Pil del 50% e la disoccupazione è salita al punto da toccare il livello più alto del mondo, il 43%. I giovani, che formano più della metà della popolazione in questo fazzoletto di terra palestinese, sono i più penalizzati: alla fine del 2014 il 60% era senza lavoro, il dato più alto del Medio Oriente. Il Pil attuale è solo un paio di punti in più rispetto al 1994, mentre nello stesso periodo la crescita della popolazione è stata vertiginosa. Il rapporto osserva che quasi l’80% degli abitanti di Gaza deve essere assistito e che circa il 40% della popolazione vive sotto della soglia di povertà. Inoltre la maggior parte dei quasi 2 milioni di abitanti vive confinata in appena 160 chilometri quadrati (sui circa 400 kmq della Striscia).

A ciò da un anno si sono aggiunte le immense distruzioni causate dall’offensiva militare israeliana “Margine Protettivo” e la ricostruzione partita solo in minima parte. I miliardi di dollari promessi lo scorso ottobre dai Paesi donatori si sono rivelati, come previsto con largo anticipo, soltanto delle parole che il vento ha già portato via. Israele da qualche mese descrive con un taglio positivo il suo atteggiamento nei confronti dei civili palestinesi ma in realtà ha consentito sino ad oggi l’ingresso nella Striscia solo di una frazione minima dei materiali che occorrono per la ricostruzione. All’orizzonte non c’è nulla che faccia sperare in un cambiamento vero della condizione di Gaza, alla luce anche dell’atteggiamento a dir poco passivo di Stati Uniti ed Europa. Anzi, si intravede un nuovo attacco militare israeliano «per chiudere i conti con Hamas», qualcuno sostiene a cavallo tra 2015 e 2016 se non già la prossima estate. Ne parlano e ne scrivono generali e uomini politici di Israele lanciando l’allarme sull’esistenza presunta di «nuovi tunnel sotterranei e il riarmo di Hamas», lo temono gli abitanti di Gaza. Voci che contrastano con quelle che girano da settimane su intese sotterranee tra Israele e il movimento islamico per tenere calma la situazione.

In ogni caso le bombe per una nuova guerra non mancheranno a Israele, per l’eventuale attacco a Gaza e anche per una campagna contro il movimento sciita Hezbollah in Libano, altro tema caldo tra gli analisti militari. Come avevano fatto anche durante l’operazione della scorsa estate contro Gaza, gli Stati Uniti venderanno a Israele 8.000 bombe intelligenti e 14.500 sistemi di guida, 50 bombe bunker busters, 4.100 bombe “piccole” (solo 110 kg di esplosivo ma ad altissimo potenziale) e 3.000 missili Hellfire per gli elicotteri Apache. Il costo complessivo è di 1,8 miliardi. Le bombe che si aggiungono all’aumento del numero dei bombardieri stealth F-35 che gli Usa consegneranno a Israele. Il Pentagono ha annunciato che questa vendita riflette l’impegno americano per la sicurezza di Israele. In realtà è una delle tante forme di “risarcimento” decise dalla Casa Bianca per persuadere Israele ad accettare l’accordo sul programma nucleare iraniano che gli Stati Uniti intendono raggiungere entro il 30 giugno.