In Arabia saudita è stata tagliata la mano ad una donna di 55 anni, Kashturi Munirathinam che, immigrata dall’India, lavorava come domestica in una famiglia benestante saudita che la maltrattava in ogni modo, fino a negarle il cibo. Dopo mille sofferenze, ha tentato di fuggire: la «ribellione» è stata punita con il taglio della mano.

Sempre in Arabia saudita – dove dal 1985 al 2005 son state eseguite 2.200 condanne a morte e da gennaio ad agosto 2015 ben 130 esecuzioni capitali – langue in carcere il blogger Raif Badawi condannato a dieci anni di carcere e a mille frustate – 50 già comminate davanti ad una folla plaudente – per avere fondato un forum online di dibattito.

E cresce la protesta internazionale per il caso di Ali an-Nimr, il giovane di 21 anni condannato a morte per avere manifestato a favore di un imam sciita incarcerato. Intanto non passa giorno che i raid sauditi non massacrino civili in Yemen (nel silenzio generale), come ieri quando è stato centrato un matrimonio e le vittime non si contano.

Un’Italia decente e indipendente invierebbe almeno una nota di protesta.

Così lo chiediamo al ministro degli esteri Paolo Gentiloni: com’è possibile che l’Arabia saudita faccia parte della «nostra» coalizione, quella dei «buoni», nella guerra contro il feroce Isis?