Giorgio Parisi, uno dei più celebri fisici italiani, è l’animatore della campagna «Salviamo la ricerca», nata da una petizione pubblicata su Nature che ha raccolto online oltre 70 mila firme. In un’intervista a Il manifesto, il fisico romano aveva esposto le misure minime per rilanciare l’università e la ricerca italiana dopo anni di tagli. Aumentare i fondi per gli atenei di un miliardo di euro all’anno e i fondi per la ricerca Prin dagli attuali 92 milioni a 300 milioni. Ieri il ministro dell’università Stefania Giannini ha presentato il «programma nazionale della ricerca» (Pnr) che stanzia 2,428 fino dal 2015 al 2017.

Professor Parisi, questi fondi salveranno la ricerca?
Nonostante il nome ampolloso, questo piano non riguarda tutta la ricerca. I fondi del Pnr non vanno al finanziamento ordinario degli atenei. È sempre stato una cosa a parte. Il fondo per l’università è invece finanziato con la legge di stabilità.

Ma allora che cos’è questo programma?
Prevede interventi addizionali, divisi in vari capitoli, rispetto ai fondi ordinari di finanziamento. Devo ancora analizzare il testo nei dettagli, ma in compenso possiamo soffermarci sulle cifre macroeconomiche presentate dal ministro Giannini nella conferenza stampa alla quale ho assistito.

Ci sono 2,5 miliardi per gli investimenti pubblici nella ricerca, il 42% dei quali per dottorati e ricercatori, il 20% alla ricerca industriale e cooperazione pubblico-privato, il 18% al sud, il 14% alle infrastrutture di ricerca, l’1% alla «qualità della spesa». È soddisfatto?
Il ragionamento da fare è sulla cifra complessiva. Il Pnr precedente dell’ex ministro Gelmini per il triennio 2011-2013 stanziava 600 milioni all’anno. Il governo Letta approvò un piano addirittura dal 2014 al 2020 in cui stanziava 900 milioni all’anno per sette anni, 6,3 miliardi. Il piano è rimasto lettera morta perché quel governo è caduto e non c’è stata la delibera del Cipe per renderlo esecutivo.

Ora questa delibera c’è.
Sì, è stato approvato il piano per il 2015-2020, ma il problema è chei soldi per la ricerca per il 2014 e il 2015 sono rimasti al livello del piano nazionale fatto dalla Gelmini. Vorrei anche aggiungere che un povero fisico teorico,  che non e’ esperto delle sottigliezze della contabilità, ha  grosse difficolta’ a capire come il Comitato interministeriale per la Programmazione economica (Cipe), nel  maggio del 2016 possa approvare le spese fatte nel 2015. Mi domando anche chesenso abbia presentare l’approvazione di spese fatte l’anno scorso come nuovi investimenti.

Sta dicendo che non siamo davanti a un investimento, ma a un buco?
Il Governo Letta aveva preparato un piano della ricerca, ancora reperibile sul sito MIUR, in cui si prevedeva un investimento in ricerca dal 2014 al 2020 per un totale di 6 miliardi e 300 milioni. Il piano presentato dal governo per il 2015-2020, anche tenendo conto degli investimenti del 2014, arriva a 5 miliardi e 300 milioni scarsi. Quindi rispetto ai piani del governo Letta siamo in presenza di un disinvestimento di un miliardo in 7 anni.

Cosa risponde a chi osserva: questo è meglio di niente?
Abbiamo un po’ più di soldi della Gelmini e un po’ meno di Letta. Non è una situazione entusiasmante. Anche perché non bisogna dimenticare che questo è un atto dovuto, in ritardo di due anni. Il governo sta risparmiando sulla ricerca.

Trova giustificato il suo entusiasmo?
Dipende da quali sono le aspettative. Se sono molto basse allora è giustificato. Se le aspettative sono più alte non c’è ragione di esserlo.

Quali sono le richieste della campagna «salviamo la ricerca»?
Finanziare la ricerca diffusa, non solo qualche punto di eccellenza come fa già l’Europa, ma la maggioranza dei ricercatori che lavorano in Italia. Secondo: evitare che ogni anno l’Italia perda tra 2 e 3 mila ricercatori che vanno all’estero, perché non ci sono posti dove possono presentarsi. Bisogna finanziare 2400 posti all’anno per otto anni.

Nel Pnr si parla di 6 mila persone…
Di cui 2700 dottorati in tre anni.

Ben al di sotto della cifra minima da lei indicata per il rilancio della ricerca…
Esatto. Lo considero comunque un primo successo della nostra petizione. Il presidente del Consiglio Renzi ha sentito la necessità di fare qualcosa sulla ricerca. Bisogna entrare in una seconda fase: modificare la qualità e la quantità degli interventi. Al momento mi sembrano assolutamente insufficienti.

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La protesta dei ricercatori precari a piazza montecitorio a Roma, @Ansa