Giornata di discorsi importanti, quella di mercoledì: Obama, Biden, l’endorsement del controverso ex sindaco repubblicano, il miliardario Bloomberg, ma uno dei meglio accolti è stato quello di Martin O’ Malley, ex sindaco di Baltimore, ex governatore del Maryland, ex terzo candidato in corsa per la nomination democratica.

Durante le primarie O’Malley era un mistero: non arrivava al 3%, ai dibattiti non gli davano mai la parola («Sapete che ci sono anch’io?», aveva fatto notare una volta al moderatore di Cnn), a un suo comizio non era venuto letteralmente nessuno. Eppure O’Malley non aveva mai perso la calma, non aveva mai urlato per farsi notare.

La sua apparizione di prima serata alla convention di ieri è stata accolta da un boato. Con la barba un po’ lunga, in camicia e senza giacca, O’Malley ha fatto un discorso breve ma infuocato e lo si è visto come non lo si era mai visto durante tutte le primarie. «Al diavolo l’incubo americano di Trump, noi crediamo al sogno americano!», ha tuonato facendo alzare la platea in una standing ovation. Non erano il discorso né la postura di un candidato sconfitto che sta dando spirito di corpo al partito per dovere di rappresentanza.

Il fatto è che circola voce che O’Malley potrebbe succedere a Debbie Wasserman-Schultz come capo del partito. Dal boato che ha ricevuto sembrerebbe la scelta buona. È giovane, accattivante, intelligente, pacato, ironico, con un buon eloquio e potrebbe essere un nome su cui puntare per contrastare i nuovi repubblicani dell’era Trump e post tea party, caratterizzati da aggressività becera e dialettica sloganistica.

Ciò che si sta formando in questa convention è una squadra di giovani politici, tra le file dei democratici integrati ed organici, oltre che tra quelle degli eretici dissidenti di Sanders. Questa squadra di forza nuova, per quanto integrata, non ha la dialettica un po’ stantia e noiosa dei novecenteschi del partito. Il discorso utile ed accorato di Bill Clinton, da solo, non avrebbe convinto nemmeno un millenial a votare per Hillary.

Una generazione affascinata dall’oratoria e la coolness di Obama ha bisogno, per restare dentro la fascia di voto attivo, di altri personaggi, elementi come Cory Booker (ex sindaco della difficile e corrotta Newark nel New Jersey) che sa come tenere dialetticamente una platea, oppure, appunto, O’Malley.

Le convention servono a nominare un candidato ma anche a lanciare i personaggi politici che circonderanno il futuro presidente eletto, sia i dissidenti come Warren e Sanders, che la nuova onda politica. L’immagine antica e corrotta di Hillary ha bisogno di questo anello a circondarla, specialmente dopo la scelta ultra conservatrice per la vice presidenza, per la quale si era mormorato proprio il nome di Cory Booker (giovane, nero, carismatico sarebbe stato perfetto per una scelta di bilanciamento di immagine).

Se anche per O’Malley saranno state solo voci lo sapremo nei prossimi giorni. Ma una traccia, stando all’accoglienza calorosa che gli è stata riservata, O’Malley nell’elettorato l’ha lasciata.