Lunghi momenti di silenzio, una «Marsigliese triste« per solo pianoforte, i nomi delle 130 vittime (129 perché una famiglia non ha voluto) e la loro età, letti da due voci, una femminile e una maschile.

Con grande solennità, nella cour d’honneur degli Invalides, per protocollo riservata finora alle cerimonie militari e ai caduti in battaglia, la Francia ha reso omaggio ai morti del 13 novembre. Una canzone di Jacques Brel, intonata da tre giovani voci (Yael Naim, Nolween Leroy, Camelia Jordana), Quand on a que l’amour, poi Natalie Dessay ha ripreso Perlimpinpin di Barbara. La cerimonia, durata circa un’ora, si è conclusa con una Marsigliese marziale, Bach (Suite N.2) e Va pensiero ha accompagnato le 2mila persone presenti verso l’uscita.

Tra i due momenti musicali e i lunghi silenzi, il discorso di François Hollande. Anch’esso scandito in sequenze diverse: ha parlato di «atto di guerra» e designato i «nemici», adepti di una «causa folle» e seguaci di un «Dio tradito» di un «islam deviato», poi si è impegnato a «riparare i vivi» e si è rivolto alla generazione più colpita – l’età media è di 35 anni – per descrivere gli attentati come una «un’iniziazione terribile alla durezza del mondo», rinnovando anche «l’impegno ad affrontarla». «Vi dirò della mia fiducia nella generazione che viene. Altre generazioni hanno conosciuto nel fiore dell’età eventi tragici che hanno forgiato la loro identità», ha detto il presidente.

«Questa generazione avrà il coraggio di prendere pienamente in mano l’evvenire della nostra nazione. La libertà non chiede di essere vendicata ma servita. Per i nemici, Hollande ha promesso che la Francia «farà di tutto per distruggere l’esercito di fanatici». C’era il governo al completo e tutte le forze politiche, che per un breve momento hanno messo da parte le polemiche.

C’erano le famiglie delle vittime (meno due, che hanno rifiutato di partecipare perché accusano il governo di non aver fatto abbastanza dopo gli attentati di gennaio), dei feriti in carrozzina e le squadre di soccorso. C’erano molti sindaci, le vittime erano residenti in una cinquantina di comuni, numerosi ambasciatori, i morti erano di una ventina di nazionalità. «Era la musica ad essere insopportabile per i terroristi, ha detto il presidente Hollande nel suo discorso, in un clima solenne, È quella gioia che volevano seppellire nel fracasso delle loro bombe. Per meglio rispondere, moltiplicheremo canzoni, concerti, continueremo ad andare allo stadio».

È stato un momento solenne e sobrio, consensuale, anche tra la popolazione, anche se, a Parigi, il numero delle bandiere ai balconi e alle finestre, che Hollande aveva invitato a esporre, non era molto numeroso (la Francia non è gli Usa, non c’è la tradizione di esporre la bandiera, anche se l’invito di Hollande puo’ avere un senso in questo momento, di riappropriazione di un simbolo comune che è stato confiscato dall’estrema destra del Fronte nazionale).

Ma dopo? La Francia è in guerra su numerosi fronti e ha chiesto «solidarietà» agli europei evocando il dimenticato articolo 42.7 del Trattato di Lisbona, i quali hanno risposto con più o meno entusiasmo.

La Germania continua a rifiutare il termine stesso di «guerra», ma offre 650 militari da inviare in Mali, Tornado e una fregata per la ricognizione in Siria. La Gran Bretagna, malgrado l’allontanamento in corso dall’Unione europea, potrebbe votare questa volta a favore dell’estensione dell’intervento dall’Iraq alla Siria.

La Francia andrà comunque avanti sulla strada della guerra. La maratona diplomatica di Hollande, che in una settimana ha incontrato Cameron, Obama, Merkel, Renzi e Putin, ha avuto risultati per ora incerti.

La «coalizione» unica non c’è e non ci sarà a breve in Siria per combattere Daesh, ma Parigi si accontenta di un «cordinamento» maggiore con la Russia. Ieri mattina, il ministro degli esteri, Laurent Fabius, ha confermato la svolta pragmatica della Francia: «la cooperazione di tutti contro Daesh è il nostro principale obiettivo – ha dichiarato il ministro – la cooperazione di tutte le forze siriane, ivi compreso l’esercito siriano, contro Daesh è evidentemente auspicabile, ma, come ho affermato con costanza, sarà prevedibile solo nel quadro di una transizione politica credibile». L’allontanamento di Assad passa in secondo piano.

All’interno, la Francia va alle urne il 6 e il 13 dicembre, per le regionali. Il relativo consenso dei giorni del lutto è destinato ad andare subito in frantumi. Hollande ha recuperato in popolarità, ma a livello locale, in particolare nelle due regioni più a rischio (Nord-Pas de Calais e Provenza), i sondaggi confermano l’avanzata del Fronte nazionale, che potrebbe aggiudicarsi le due presidenze.

Marine Le Pen non fa quasi campagna, le basta dire «avevamo ragione», sull’islam, sugli immigrati e rifugiati, sulla «preferenza nazionale». Tra dolore e rabbia, è difficile valutare se e come gli attentati influiranno sul voto. Per il governo, la speranza è che suscitino mobilitazione e riducano l’astensione, che è una delle cause delle alte percentuali ottenute dall’estrema destra alle precedenti elezioni.