Trent’anni di vita che hanno significato per la città di Milano un confronto importante con la danza contemporanea internazionale e italiana. Stiamo parlando di MilanOltre, festival diretto attualmente da Rino De Pace che ne ha seguito nel tempo sviluppi, punti di vista, tendenze. Basta un’occhiata alle locandine delle tante edizioni per avere negli occhi la presenza di artisti con un loro segno da non dimenticare, coltivare, rivedere: Bill T. Jones, Anne Teresa De Keersameker, Edouard Lock, Trisha Brown, Michèle Anne De Mey Sankai Juku, Stephen Petronio, Marie Chouinard. E sono solo alcuni.

L’edizione 2016, la trentesima appunto, si è mantenuta fedele al progetto del festival, con l’ospitalità di due donne care al festival da sempre: De Keersmaeker e Chouinard alle quali sono stati dedicati altrettanti focus. Della prima è tornato in scena il capolavoro minimalista Fase e il riallestimento di Verklärte Nacht (Notte trasfigurata), di Chouinard oltre al recente omaggio a Bosh, titoli intramontabili come la sua versione de Le Sacre du Printemps, l’ancestrale Le cri du monde, il limpido Henri Michaux: Mouvements.

Molte le presenze italiane tra coreografi affermati e più nuovi autori. Un focus è stato dedicato a Roberto Zappalà, coreografo catanese che con la sua compagnia fondata 25 anni fa ha esplorato con un segno ricco e in perenne crescita il rapporto tra danza e musica, coreografia e radici culturali. Ne sono esempio i titoli portati a MilanOltre, da Naufragio con spettatore sul tema dell’emigrazione/immigrazione a Anticorpi, del 2013, creazione dalla coreografia martellante, nella quale i danzatori dell’attuale formazione di Zappalà hanno messo in luce il punto di contatto tra creatività del singolo e collettività: un gruppo che non ha nulla da invidiare a compagnie internazionali.

Tra gli altri protagonisti di quest’anno plauso a Michele Merola, al festival con la sua MM Contemporary Dance Company impegnata in due titoli, Bolero, dello stesso Merola e Carmen Sweet di Emanuele Soavi. Semplice, quanto efficace l’incontro tra ideazione scenografica e sviluppo coreografico di Bolero, una sorta di parete plissettata in movimento da cui entrano e escono i danzatori. Stefano Corrias, compositore, firma una partitura musicale che si intreccia con bella inventiva al Bolero di Ravel, e con cui Merola dialoga coreograficamente con piglio e consapevolezza. Una danza dal segno fremente nell’appropriazione espressiva dello spazio e nel lavoro non banale sulla coppia.