Lo sappiamo: ricorrere a parole come genocidio o Shoah per nominare altre stragi di esseri umani rischia di avallare o alimentare il revisionismo. Eppure le istantanee più recenti a prova del trattamento dei profughi e della loro ecatombe inesorabile contengono segni evocanti la semiotica del genocidio.

Con la proliferazione di muri e fili spinati; le masse di cadaveri di asfissiati durante trasporti disumani; la marchiatura di massa degli esuli, bambini compresi, a rendere letterale la loro stigmatizzazione; i campi per migranti irregolari, con topografia e routine quotidiana simili a quelle dei lager…

La più straziante delle immagini, quella del corpicino esanime sulla spiaggia, vestito di tutto punto come per un viaggio di piacere, è non solo l’icona della vittima assoluta, ma anche la ricapitolazione potente di una strage spesso banalizzata o ridotta a singole cifre o episodi, sia pur seriali. Quest’ecatombe ha responsabili politici ben definiti, che non sono certo in primis i «trafficanti».
Essa è, infatti, il frutto di un disegno, sia pur da apprendisti stregoni. I quali, mentre facevano dell’Europa sempre più una fortezza, contribuivano a destabilizzare e devastare ampie aree del mondo con politiche di sfruttamento neocoloniale, guerre e altri interventi militari, senza calcolarne le conseguenze in termini di esodi di massa obbligati.

Eppure v’è ancora chi vorrebbe non essere disturbato nell’opera di rimozione. Certuni, non pochi, hanno protestato, tramite radio e web, per «l’intento ricattatorio» di chi ha voluto pubblicare le immagini del bimbo annegato. È come dire che Robert Capa avrebbe fatto bene a tener nascosta la fotografia della morte del miliziano durante la guerra civile spagnola. E il vietnamita Nick Ut avrebbe dovuto tenersi nel cassetto l’altrettanto celebre immagine del 1972 che, comparsa sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, gli sarebbe valsa un premio Pulitzer: quella dei bambini, una di loro completamente nuda, che fuggono da un attacco al napalm compiuto dall’esercito statunitense. Né si sarebbe dovuta render pubblica l’istantanea, scattata nel 2004, che mostra la soldatessa americana Lynndie England mentre, nella prigione di Abu Ghraib, trascina al guinzaglio il corpo di un prigioniero iracheno, oscenamente de-umanizzato: anch’egli nudo e col volto visibile.

Insomma, per quanto scioccanti, vi sono immagini che compendiano con efficacia il senso di eventi della cui portata storica non tutti, in quel momento, sono consapevoli.

Attualmente siamo di fronte a un evento simile, che segna la disfatta morale dell’Europa che volle federarsi all’insegna di valori quali il rispetto assoluto dei diritti umani. E che invece oggi s’illustra per due primati: è la meta più migranticida al mondo; è incapace di distribuire e accogliere degnamente finanche la quota irrisoria di quarantamila richiedenti-asilo, lo 0,0079% in rapporto alla popolazione dell’Unione europea.