La svolta era nell’aria dopo la presa di posizione di Kamala Harris. «Non escludo nulla», aveva detto domenica alla rete ABC la vice presidente degli Stati uniti a proposito delle possibili conseguenze dell’invasione di Rafah annunciata come imminente dal primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu.

E ieri, per quanto attesa, la divaricazione tra la Casa Bianca e il governo israeliano è apparsa clamorosa, certificata dall’astensione americana al consiglio di sicurezza dell’Onu su una risoluzione che impone il cessate il fuoco a Gaza. La stessa richiesta fatta solo pochi giorni fa da Antonio Guterres per la quale il segretario generale delle Nazioni unite era stato liquidato come «antisemita» dal governo israeliano.

È un’astensione, quella americana, non un voto a favore.

Eppure nelle circostanze date è un fatto politico di enorme rilievo, che mette in discussione la «relazione speciale» tra Usa e Israele, un totem indiscutibile della diplomazia statunitense. Non solo nel suo rapporto con lo scacchiere mediorientale ma come base «filosofica» stessa della politica internazionale di Washington, costantemente bipartisan anche per via della centralità di questa relazione. Oggi non è più così.

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Tanto che Netanyahu – contando su solide sponde a Washington – si concede la libertà di rispondere a brutto muso a Biden, facendo dire al suo ministro degli esteri Katz che la risoluzione dell’Onu non sarà rispettata e cancellando una prevista missione di suoi inviati alla Casa Bianca. Nei giorni scorsi, annusando l’aria, Bibi aveva anche lasciato circolare l’idea di un suo intervento al congresso americano, su invito dello speaker della camera, Johnson, un domestico di Trump, che, se avvenisse, sarebbe una replica del discorso che il premier israeliano tenne durante la presidenza Obama nella fase più delicata delle trattative con l’Iran.

Il 12 marzo scorso il leader della maggioranza democratica al Senato, Chuck Schumer aveva dato l’ultimatum Netanyahu, invitando Israele a nuove elezioni perché il premier israeliano «ha smarrito la strada, permettendo alla sua sopravvivenza politica di avere la precedenza sugli interessi dello Stato ebraico». Un’ulteriore conferma che la dinamica politica americana, nelle sue divisioni interne, s’intreccia con quella israeliana. In misura tale che, se la spallata della Casa Bianca e dei democratici al governo israeliano non avrà effetto, sarà un’evidente vittoria per Netanyahu – cioè la sua sopravvivenza politica. E sarà quindi l’annuncio della sicura sconfitta elettorale di Biden il 5 novembre.