Ogni anno, l’ennesimo Rapporto Svimez presenta invariabilmente la situazione economica del Mezzogiorno che si fa sempre più grave ed insostenibile. Ed ogni anno, con puntualità svizzera, assistiamo alla rinascita, sui mass media, per un giorno della «questione meridionale». I gridi di allarme, gli S.o.s., persino le lettere al capo del governo di turno si sprecano.

E poi, come ormai abbiamo imparato da tempo, non succede più nulla. Il fatto è che la «questione meridionale», cioè l’enorme e crescente divario tra Nord e Sud del nostro paese, è diventata una notizia eccezionale.

Da far scattare per poche ore l’interesse dei media. E questo significa che un fenomeno strutturale è ormai trattato come fosse un evento straordinario, una emergenza.

Purtroppo, la «questione meridionale» è morta e sepolta da diversi anni. Il primo colpo glielo ha assestato la caduta del muro di Berlino nel 1989 e la contemporanea apertura al mercato mondiale della Cina. In altre parole: la globalizzazione dei mercati ha portato a rendere sempre meno rilevante il mercato meridionale per le imprese del Centro-Nord Italia (che in passato aveva rappresentato mediamente il 35% del mercato di sbocco delle merci prodotte).

Il secondo colpo glielo ha dato l’entrata nell’Eurozona che ha tolto alle imprese italiane la possibilità di godere dello strumento della svalutazione della lira con cui avevano spesso fatto ricorso per superare i gap di competitività. In breve, globalizzazione dei mercati ed entrata nell’Euro hanno provocato la rottura di un patto non scritto tra Nord e Sud del nostro paese : il Sud non era più un mercato interessante e sufficiente per le imprese del Centro-Nord che ormai guardavano al mondo come ad un unico mercato, e diventava solo un «costo» per le imprese del Nord dato che i trasferimenti netti dello Stato a favore del Sud venivano in parte finanziati con le imposte prelevate nel resto del `paese. Infine, il colpo finale glielo ha dato la Lunga Recessione che stiamo ancora attraversando.

Come tutti i dati significativi ci mostrano l’impatto della crisi economica, scatenata dalla finanza, sul Mezzogiorno è stato molto più forte che nel resto d’Italia. Ed esattamente, dal 2007 al 2015 il reddito pro-capite, i consumi e l’occupazione hanno fatto registrare una caduta con valori doppi di quelli del Nord. Se prendiamo, ad esempio, il dato della disoccupazione essa è di circa il 13 per cento nella media nazionale, ma è del 23 per cento al Sud e del 9 per cento nel Nord.

Perchè la crisi ha agito nel Mezzogiorno con questa violenza aumentando a dismisura il divario tra Nord e Sud. Due sono i fattori che possono spiegare questo inaspettato effetto della crisi. Il primo è legato al taglio lineare della spesa pubblica che ha colpito doppiamente il Mezzogiorno dato che in questo territorio rappresenta circa il 25 per cento del Pil, il doppio del Nord. Il secondo è dato dal fatto che le imprese meridionali hanno una scarsa propensione all’esportazione (il contributo delle imprese meridionali all’export nazionale ha raggiunto al massimo il 12 per cento sul totale nazionale!) e che le imprese che sono sopravvissute alla crisi sono state in gran parte quelle che avevano accesso ai Mercati internazionali, data la crescente caduta della domanda interna.

Ma, il dato che più ha colpito l’opinione pubblica è quello che è stato estrapolato dal Rapporto Svimez : dal 2000 ad oggi il Mezzogiorno ha fatto registrare una caduta del Pil superiore a quello greco. Il dato però andava spiegato: dal 2000 al 2007 la Grecia ha avuto una crescita economica ad un tasso più del doppio di quello del Mezzogiorno, mentre dal 2007 al 2015 la Grecia ha perso più del 25 per cento del Pil mentre nel nostro Sud la perdita è stata di circa il 18 per cento.

Era necessario chiarire l’origine e la composizione di questo dato, altrimenti non si capisce perchè abbiamo assistito in Tv a scene di panico e disperazione in Grecia e non nel Mezzogiorno. Ma, il vero confronto tra il Sud d’Italia e la Grecia va fatto ad un altro livello. È sul piano socio-politico che il popolo greco ha dimostrato una grande capacità di mobilitazione, mentre nel Mezzogiorno sono scomparse le lotte sociali o abbiamo avuto solo vertenze locali. Ed è ancora di più sul piano politico-istituzionale che assistiamo ad un vuoto di leadership nel territorio meridionale, ad una marginalità della classe politica meridionale che non si era mai verificata nella storia d’Italia.

Il Mezzogiorno di Gramsci, Di Vittorio, ma anche di Pio La Torre o di Giacomo Mancini, di Berlinguer e tanti altri prestigiosi uomini politici del sud con una caratura nazionale, era una terra più povera di oggi sul piano dei consumi e del reddito pro-capite, ma molto più ricca sul piano sociale, culturale e politico. Il dramma del Sud di oggi è quello di non avere più una prospettiva politica, un rapporto di amore con la propria terra – lottare per restare e restare per lottare – una forma organizzata di rappresentanza politica a livello nazionale.

C’è un fenomeno inquietante che è passato quasi inosservato: il moltiplicarsi di circoli e pseudoriviste filoborboniche, il crescere sul web di siti e proclami che esaltano il Regno delle Due Sicilie. Lo straordinario successo commerciale del libro “Terroni” di Pino Aprile ne è una prova inconfutabile. Quaranta anni fa, studiosi seri ed appassionati come Nicola Zitara o Capecelatro e Carlo, avevano denunciato la “colonizazione e lo sfruttamento del Mezzogiorno” da parte della borghesia industriale del Nord, ma i loro testi erano rimasti nei circoli della sinistra extraparlamentare.

Oggi, c’è una diffusa convinzione a livello di masse popolari che l’Unità d’Italia sia stata una fregatura, che il Sud è sempre stato sfruttato dal Nord e questo spiega il suo sottosviluppo.

A parte che storicamente le cose sono state più complicate, in questo modo le responsabilità della classe politica meridionale vengono ignorate. Un popolo che ha nostalgia di un mitico passato, a cui si aggrappa per spiegare il presente, è un popolo che ha perso ogni speranza sul futuro. Ed invece, proprio la crisi economica ed i drastici tagli alla spesa pubblica offrono oggi delle grandi opportunità per cambiare modello di sottosviluppo, corruzione, e assistenzialismo.

Infatti, i tagli agli enti locali hanno messo in crisi la gestione clientelare delle risorse pubbliche, hanno permesso ai cittadini di mandare a casa la vecchia politica del malaffare – come è successo in diverse amministrazioni locali – ed avere delle amministrazioni comunali fondate sulla difesa dei Beni Comuni in piccole e grandi città.

Ma, pur essendo pregevole lo sforzo e gli spazi politici che si aprono a livello locale, il Mezzogiorno ha oggi bisogno di una forza politica che lo rappresenti all’interno di una prospettiva nazionale ed europea. Non una forza territorialista (come la Lega del Sud), ma una forza politica nazionale che abbia uno sguardo diverso ed un progetto politico ed economico che parta dal Mezzogiorno per incontrare gli altri popoli del Mediterraneo. Insomma, come scriveva Valentino Parlato e, con un’altra angolazione Guido Viale, abbiamo bisogno di una Sinistra Euro Mediterranea, che metta insieme i paesi del Sud Europa come massa critica per contrastare l’egemonia tedesca e neoliberista, ma capace altresì di creare una alleanza con gli altri paesi mediterranei con chiare scelte di campo, a partire dal sostegno incondizionato al popolo palestinese.