Alle Giornate degli Autori sono presenti quest’anno due lavori di artisti italiani che da sempre si confrontano con le immagini in movimento: The Show Mas Go On di Rä di Martino, originale omaggio allo storico grande magazzino nazional-popolare MAS ubicato a Piazza Vittorio a Roma e The Lack dei Masbedo, lungometraggio sperimentale in quattro episodi. Due opere concettualmente quasi agli antipodi: la prima sul pieno, sul kitsch urbano, il secondo sul vuoto, sulla ricerca interiore, ambientata in uno scenario naturale. Onore al merito quindi a una sezione che, pur essendo collaterale, è in grado di mostrarci anche opere più borderline che si rivolgono sia al pubblico cinematografico e festivaliero, sia agli appassionati e ai fruitori delle arti visive.

The Show Mas Go On nasce un po’ per caso, come ci spiega l’artista romana: «All’inizio pensavo di fare un lavoro videoartistico, girando negli ampi spazi di MAS, senza clienti, prima che chiudesse definitivamente. Poi, anche grazie all’entusiasmo delle altre collaboratrici – Federica Illuminati e Marcella Libonati– il progetto è mutato, slittando verso il documentario. Il mio interesse per MAS nasce sicuramente dal fascino per l’immaginario kitsch, ma anche dal comprendere perché un luogo del genere abbia sempre attratto persone di vari strati sociali e culturali». In realtà MAS è ancora in vita, ma per una serie di difficoltà e battaglie legali relative alla proprietà delle mura, rischia la chiusura.

The Show MAS Go On è un lavoro composito, che mescola il reportage (le interviste ai commessi o per esempio ai costumisti che qui trovano materiale per i loro film) al videoclip, una messa in scena più teatrale con frammenti di fiction, come nelle sequenze in bianco e nero, dalle atmosfere fantascientifico-noir, omaggio alla serie tv Twilight Zone – Ai confini della realtà, dove vediamo duettare insieme Maya Sansa e Sandra Ceccarelli. La citazione filmica e l’utilizzo di attori italiani anche di un certo rilievo nelle opere di Ränon è nuova. Lo stesso Filippo Timi – che in voice over all’inizio del cortometraggio descrive Piazza Vittorio e poi cantaPerfect Day di Lou Reed (con testo modificato) immerso in una vasca di mutande, uno degli articoli “cult” in vendita da MAS – aveva già lavorato per l’artista. Mentre Iaia Forte qui dà corpo alla voce della proprietaria di MAS che ha concesso solo un’intervista audio e infatti di Martino gioca sullo scarto del lip synch che appare in un primo tempo come un errore tecnico: «Diciamo che per me l’attore è una via di mezzo tra l’icona alla Vezzoli e l’interprete classico. Per me gli attori sono elementi visuali e spesso è difficile far accettare loro che dietro non vi sia un personaggio vero e proprio».

The Show MAS Go On ha potuto contare su varie fonti di finanziamento, da Gucci al Comune di Roma, dal crowfunding all’aiuto di Think Cattleya, insomma una formula mista che però ha dato i suoi risultati. «E’ stato molto buffo», spiega Rä, «perché siamo partiti senza soldi e poi gli altri sono arrivati tutti alla fine. Solo Gucci ci ha dato un terzo del budget fin dall’inizio. Siamo stati molto creativi nell’impostazione produttiva». Sovente capita che il film di un artista faccia parte di un progetto più articolato, viene dunque naturale chiedere all’interessata se questo lavoro prenderà in futuro anche forme installative: «Per adesso è solo monocanale, da proiettare nei festival, in sala, ma già me lo stanno chiedendo per diverse mostre, inoltre realizzerò delle fotografie.

Mai come in questo caso è nato come un puro film, diventando nel corso della lavorazione sempre più sperimentale. Il mio problema è che sono sempre stata un po’ borderline, non a caso il mio primo video si intitolava Between. Questa posizione di confine è difficile da gestire, poiché mi attira spesso critiche. A Venezia però è stato preso malgrado durasse solo 30 minuti, proprio perché lo hanno trovato originale. Non è detto comunque che, prima o poi, non mi venga l’idea per un lungometraggio dalla struttura più classica».

Al lungometraggio, anche se per nulla classico, ci sono arrivati invece i Masbedo, acronimo dietro cui si celano Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni. Il loro The Lack, prodotto da Beatrice Bulgari, Devo Film, ma soprattutto finanziato insieme ad altri 20 progetti dal CPH:Forum del Copenaghen International Documentary Film Festival, è strutturato in 4 capitoli che hanno come protagoniste altrettante donne, cui si aggiungono una introduzione e un epilogo, in cui concettualmente si intrecciano le quattro vicende. «Abbiamo adottato come sempre una narrazione destrutturata», ci spiega Bedogni, «con dialoghi limitati, in contrasto con il racconto cinematografico. Il film del resto ruota proprio intorno al concetto di mancanza, come suggerisce il titolo. Abbiamo cioè mantenuto una sceneggiatura aperta, che prendeva una sua forma durante le riprese.

Un lavoro a lenta espansione, con una forte relazione con la videoarte. Non abbiamo voluto confrontarci con un progetto cinematografico tout court, ma con una riflessione personale». Una riflessione tutta al femminile, poiché non solo le quattro protagoniste – Lea Mornar, Xin Wang, Giorgia Sinicorni, Ginevra Bulgari, tutte interpreti giovani e poco conosciute su cui i Masbedo hanno voluto puntare, anziché appoggiarsi a nomi più famosi – ma anche le figure di contorno sono donne. In The Lack non c’è insomma neppure un maschio all’orizzonte. «Abbiamo messo in scena il viaggio iniziatico, o di ricerca o di annientamento, di quattro figure femminili immerse nella natura». Già, perché il paesaggio naturale, come in altri lavori audiovisivi dei Masbedo, diventa il motore fondamentale della narrazione per immagini.

«Anche la natura è un attore per noi», aggiunge l’artista, «una natura matrigna, leopardiana. Due episodi sono stati girati in Islanda, dove abbiamo realizzato altre cose in passato, uno è ambientato nelle isole Eolie, a Lisca Bianca (un tributo all’Antonioni de L’avventura), l’ultimo infine – il capitolo più esasperatamente videoartistico – lo abbiamo girato in alcuni interni a Roma ma anche nel toboga di un parco acquatico, un luogo immaginifico».

Come di Martino anche Bedogni e Massazza utilizzano gli attori in modo poco tradizionale: «A un corpo attoriale chiediamo sempre un approccio performativo», spiega Iacopo, «l’essenziale per noi è nel pensiero e nei tratti dei personaggi, nelle relazioni sottili che aleggiano dentro il film. Abbiamo scelto attrici di varie provenienze geografiche, dalla croata Lea Mornar alla cinese Xin Wang, chiedendo loro di entrare in simbiosi con il luogo, aggiungendo forza espressiva e drammaturgica al racconto, meno fluido per la mancanza di dialoghi». Pur essendo consapevoli che è sempre rischioso ottenere dallo spettatore cinematografico attenzione per 80 minuti quando si adotta un’antinarrazione… «E’ una sfida che fa parte del nostro modus vivendi, volersi mettere in gioco utilizzando un linguaggio affine alla videoarte. Crediamo che lo spettatore tipo sia in divenire, sospeso tra arte contemporanea e cinema. D’altronde viviamo in un periodo storico dove si stanno producendo tantissimi progetti di scambio tra questi due ambiti».

Ma – oltre all’anteprima veneziana nella stessa sezione – c’è qualche altra cosa che unisce Rä di Martinoai Masbedo. Il 3 ottobre inaugura alla Fondazione Merz di Torino la personale del duo milanese con otto o nove installazioni, tra cui una basata sul dialogo con un lavoro di Mario Merz, Lumaca, incluso nel famoso lungometraggio Identifications realizzato nel 1970 dal videogallerista Gerry Schum. «Abbiamo invitato», conclude Bedogni, «13 artisti internazionali che lavorano con le immagini in movimento a fare una riflessione collettiva su Merz insieme a noi, da ciò è scaturita una spirale di altrettanti video». Tra di essi vi sono Jan Fabre, Nicholas Provost, Catherine Sullivan, i fratelli De Serio, Marzia Migliora e, ovviamente, anche Rä di Martino.