Il Nazareno è risorto alle 7 di ieri mattina. Non era mai morto, ma qualche momento tempestoso lo aveva pur passato e il medico Verdini si era parecchio affannato per garantire pieno risanamento. Ce l’ha fatta e lo si è capito quando, poco dopo l’alba, la portaordini del Cavaliere Maria Rosaria Rossi è accorsa per mettere in riga i senatori azzurri.

Dopo una notte a metà strada fra la tregenda e l’operetta, dopo il voto di fiducia alle 2 passate su un maxiemendamento alla legge di stabilità che si era fatto attendere per 24 ore, dopo il voto sulla variazione di bilancio col canto del gallo e una surreale capigruppo che ai primi lucori aveva deciso a maggioranza di incardinare seduta stante la legge elettorale, l’aula ha dovuto votare ancora sulla variazione di calendario che permetteva l’incardinamento immediato. Senza Fi la variazione non sarebbe passata. La maggioranza dei senatori forzisti ha abbandonato l’aula. I 19 rimasti, meno della metà del gruppo, sono bastati. Quel voto risicato dice che il collante tra Renzi e Berlusconi è ancora saldo. Terrà fino all’elezione del nuovo capo dello Stato.
Renzi ha cinguettato vittoria con l’abituale puntualità: «Abbiamo fermato l’assalto alla diligenza». E poi: «Volevano fermare la legge elettorale». Invece: «Indietro non si torna». In realtà l’incardinamento rocambolesco non cambia nulla. L’Italicum è stato illustrato dalla presidente della commissione Affari costituzionali Anna Finocchiaro agli allucinati rappresentanti del popolo in pochi minuti, più per necessità burocratica che per altro. La partita reale inizierà il 7 gennaio, e a quel punto non è affatto detto che la corsa della legge super-truffa sia tutta in discesa. Su un punto nevralgico, i capilista bloccati, in soldoni la certezza di avere metà dell’unica camera rimasta composta da nominati, persino la minoranza bersaniana, portata per vocazione e calcolo alla lotta morbidissima, potrebbe tener duro. Ma anche su un altro capitolo, quello sulla possibilità di fare apparentamenti ove si arrivasse al secondo turno per l’assegnazione del premio di maggioranza, potrebbero esserci sorprese.

Il clima in cui si svolgerà la discussione sarà probabilmente lo stesso con cui si è arrivati ieri al varo della legge di stabilità: costellato da forzature e scorrettezze di ogni tipo. Come l’aver portato in aula un testo ancora monco di parti fondamentali. Metodo difeso a spada tratta dal presidente Grasso: «Errori degli uffici economici che siamo riusciti a correggere in aula prima del voto. Abbiamo raggiunto un grande traguardo». Impagabile.

L’esito dello scontro sui dettagli dell’Italicum (tutt’altro che secondari) è incerto, ma che in quello scontro i soci del Nazareno saranno fianco a fianco è garantito. Sarà la prova generale della sfida del Colle. Ieri Renzi ha illustrato il metodo che intende seguire: un’assemblea permanente dei parlamentari e consiglieri regionali democratici riunita, come in una facoltà occupata, sino a che non verrà trovato un nome da proporre a tutti gli altri partiti. Sin qui la barzelletta. Nella realtà i convenuti in permanente assemblea dovranno solo vistare la scelta del capo e, fuori dal Pd, l’unico parere che conterà sarà quello di Berlusconi. Le principali carte che Renzi intende giocare dovrebbero essere Anna Finocchiaro e Walter Veltroni. La prima non ha un pedigree renziano: per la minoranza del Pd bocciarla sarebbe difficile, forse impossibile. A Renzi una ex nemica dimostratasi dopo il cambio della guardia al vertice disponibilissima andrebbe benone. Manca il semaforo verde del socio, ma dall’incontro, ovviamente segretissimo, tra lui e l’ex ministra siciliana, pochi giorni fa, Berlusconi è uscito compiaciuto. Donna Anna è un’ex magistrata, è vero, ma gli ha fatto ugualmente un’ottima impressione. I ribelli azzurri non la accetterebbero mai, però senza fronda nel Pd i fedelissimi del capo basterebbero per l’elezione alla quarta votazione.

L’ex sindaco di Roma andrebbe ancora meglio, sia per l’uomo di Arcore che per l’erede fiorentino, ma è un’anatra azzoppata dalla coppia Buzzi-Odevaine. Nulla di penalmente rilevante, ma è con l’amministrazione Veltroni a Roma, e Odevaine suo capo di gabinetto, che la «29 giugno» è passata da piccola cooperativa sociale a grande potenza. Il fronte contrario al Nazareno spera di puntare su Prodi, messo in campo ufficialmente da Vendola ieri, o su un nome simile, gradito anche al M5S. Solo se il colpaccio non riuscirà alla quarta o alla quinta votazione, il sodalizio del Nazareno potrebbe spezzarsi. A quel punto entreranno in gioco i candidati graditi all’Europa, e con gli intimi Berlusconi si è lasciato sfuggire che in fondo a lui quel Draghi non dispiacerebbe. Per Renzi, invece, sarebbe una calamità.