Economia fondamentale è una categoria inedita che costringe a ripensare priorità analitiche e politiche. È rappresentata da quelle attività i cui prodotti vengono usati, tendenzialmente, da tutti i cittadini, a prescindere dal reddito di cui dispongono; si tratta di attività territorializzate (o almeno territorializzabili), perché legate necessariamente – almeno nelle loro articolazioni – a contesti locali, o tutt’al più nazionali. In questa categoria rientrano quindi settori come la produzione e la distribuzione di cibo, i servizi sanitari e di cura, l’istruzione, i trasporti, la distribuzione di energia, di acqua e di gas, le telecomunicazioni, la raccolta e il trattamento dei rifiuti. L’economia fondamentale, in altre parole, è l’infrastruttura economica della vita quotidiana e della cittadinanza sociale.
L’economia fondamentale, oggi, non gode affatto di una considerazione paragonabile a quella dei “settori avanzati” e dell’innovazione tecnologica. Paradossalmente, però, i settori economici fondamentali, che nel Novecento erano stati portati in larga misura entro l’ombrello della redistribuzione, sono diventati appetibili per l’alto capitalismo finanziario. Dopo i settori industriali e il terziario avanzato, anche le attività economiche fondamentali sono state piegate, in larga parte, alle esigenze di accumulazione di breve periodo, vedendo quindi ridefiniti i loro connotati e le loro finalità. I processi di privatizzazione – nei quali l’Italia, pur partita in ritardo rispetto ai paesi anglosassoni, detiene un primato di scala europea – sono stati un passo essenziale per questa colonizzazione. Al principio dell’accesso universale ai beni e ai servizi fondamentali è stato sostituito quello della competizione di mercato (anche nei settori dove un mercato di fatto non esiste, come quello del trasporto ferroviario o, nel caso inglese, dei servizi sociali).
Riteniamo che sia da qui – dall’infrastruttura economica della vita quotidiana – che si debba iniziare a restituire l’economia alle esigenze del mondo sociale. Non soltanto perché questo spazio economico ha un rilievo, anche quantitativo, di grande portata (circa il 40% degli occupati, in Italia, lavora in questi settori, e il 75% dei consumi delle famiglie consistono in beni e servizi dell’economia fondamentale); ma anche perché le attività economiche fondamentali sono ancora legate a una dimensione nazionale, regionale e locale, e questo fa di esse un ambito privilegiato per sperimentare forme di innovazione sociale radicale e di ricostruzione delle pratiche di cittadinanza. L’articolo di Karel Williams pubblicato in questa pagina ricorda che mettere l’economia fondamentale al centro di un programma di politica economica e di innovazione sociale radicale è un passo indispensabile anche per ricostruire il tessuto politico della sinistra europea.
* Università di Torino
** Università del Salento