Il nome del festival è da prendere alla lettera: Fuso come fuso orario, quello di cui si deve tener conto nello spostarsi per il pianeta. Riferimento che, dicono gli ideatori, è anche segno di un desiderio: quello di raccogliere a Lisbona opere, artisti, curatori di arte elettronica da vari paesi del mondo. Il Festival, diretto da António Câmara, è nato nel 2009 su iniziativa di Jean-François Chougnet: allora direttore del Museu Berardo di Lisbona, di arte moderna e contemporanea, che ha dato un prezioso sostegno per rendere possibile l’iniziativa, Chougnet ha intrecciato le sue tante esperienze curatoriali e culturali – fra cui quella di direzione del Parc de la Villette a Parigi, fino al 2006 – per ideare una manifestazione del tutto originale, che nel corso degli anni ha rafforzato i legami con la città, i contatti internazionali, la struttura organizzativa. Chougnet ha ripensato per Lisbona l’esperienza delle proiezioni estive en plein air della Villette: caratteristica di Fuso è, infatti, quella di svolgersi dalle 22 in poi, a fine agosto, in una serie di spazi all’aperto, attrezzati per l’occasione con un impeccabile sistema di proiezione audio-video e con sdraio gialle, rosse e blu. In anni in cui si stava diffondendo la formula dei Festival «di creazione», con aspetti produttivi e di residenze realizzative per gli autori, la scelta fu quella, invece, di una manifestazione riservata solo alla diffusione: far conoscere in Portogallo il panorama internazionale della videoarte e, insieme, consentire agli ospiti internazionali di conoscere l’arte elettronica portoghese. Dal 2011 infatti Fuso ha istituito un bando per raccogliere, selezionare e premiare video nazionali. Il Festival nasce insomma da una mescolanza di suggestioni e competenze: musei, cinema all’aperto, proposta culturale di alto livello, a ingresso libero, con una componente di gradevolezza e convivialità. E anche con un aspetto di notevole impatto spettacolare: incredibile lo sfondo delle architetture industriali del Museu da Electricidade, la sera dell’inaugurazione; come il chiostro interno del Museu de Historia Natural, con le palme del vicino Jardìm Botánico; centralissimo e suggestivo, fra le sculture, lo spazio del Museu do Chiado. E da togliere il fiato lo splendore del parco del Museu de Arte Antigua, con lo schermo piazzato fra gli alberi e il luccichio del Tago e il profilo del ponte «25 aprile» sullo sfondo. Mentre la serata della premiazione si è svolta fra le bianche rovine del Museu Arquelógico do Carmo, nella chiesa devastata dal terremoto del 1755 e poi ricostruita solo in parte: senza tetto, con colonne e archi «orfani» aperti sul cielo stellato. Una rete di musei partecipi, attivi nel supporto e nell’organizzazione, con direttori ogni volta presenti alle serate; e l’inserimento nelle iniziative cittadine di «Lisbona na rua» (Lisbona per strada), che prevede accanto alla videoarte di Fuso musica, cinema, arti visive. Festival a piccolissimo budget (il Comune dà appena 5000 euro, che si affiancano al sostegno di altri enti e associazioni), Fuso conta su una minuscola e appassionata équipe, dell’associazione Duplacena, e l’infaticabile direttore António Câmara organizza e dirige per Lisbona anche «Temps d’images», la manifestazione internazionale dedicata alle arti della scena e dell’immagine; un network che vede la parte lisboeta (quest’anno alla 12/ma edizione) svolgersi da ottobre a dicembre. Ogni sera è dedicata a una presentazione: la videoarte portoghese, con la selezione dall’open call e il premio del pubblico e della giuria. Alla produzione nazionale è stata dedicata anche una serata con «carta bianca» data a un autore, João Onofre, che ha proposto un percorso personale in realizzazioni «eretiche» e radicalmente sperimentali. E poi i «focus» dedicati alle manifestazioni invitate. Per il 2014 in programma selezioni dal Festival Loop di Barcellona, da Invideo di Milano, da Proyector (che si tiene in simultanea a Madrid, Coimbra, Milano e Oaxaca), da Videobrasil (San Paolo) e dallo storico e glorioso archivio dell’Electronic Arts Intermix di New York. Direttori e curatori invitati hanno presentato le opere in sessioni estese fino a oltre mezzanotte, con il pubblico, folto e attento, disteso sulle colorate chaises longues sotto le coperte fornite all’entrata, per il fresco che caratterizza le notti estive di Lisbona. La convivialità del Festival (che comprende l’offerta di vino e dolci) si sposa con una impeccabile serietà di spettacolo e spettatori, partecipi – questi ultimi – anche alle sessioni più impegnative. Serata dopo serata, si è avuto a Lisbona un quadro complesso e vario di quanto oggi si può intendere per «videoarte», termine su cui, in margine al festival, si è molto discusso. I vari curatori presenti hanno mostrato nelle rispettive selezioni una felice mescolanza di «generi»: il documentario rivisitato nel linguaggio e ibridato con aspetti, appunto, videoartistici, il lavoro di origine performativa, l’animazione digitale, le rivisitazioni del cinema, lo spazio urbano, la rilettura della memoria personale e sociale. Un filo rosso che ha tenuto insieme le serate è stato quello dell’impegno, infatti: in modi diversi, la politica e la videoarte si incontrano (come del resto è stato all’inizio, negli anni Sessanta) in lavori non sempre dichiaratamente «politici» eppure di forte suggestione: forme di repressione e controllo (Bosphorus: A Trilogy, di Bita Razavi, Iran, 2012; il Portogallo di Salazár; l’immigrazione e il ricordo dei desaparecidos nei lavori di Enrique Ramirez; gli aspetti inquietanti della tecnologia digitale, anche in lavori premiati). All’impegno sociale è stata dedicata anche la serata del Festival Proyector: Mario Gutiérrez Cru ha presentato una selezione intitolata «Politics-Poetics», con una serie di lavori a basso costo e ad alta intensità. Istantanee, performance, brevi ricognizioni poetico-documentarie, provocatorie videogag. E muri, muri dappertutto (non solo in questa selezione), i muri che sempre più dividono e chiudono il mondo. Su questa «videoarte in metamorfosi» anche la serata curata da Eai di New York, sterminato e prezioso archivio di arti elettroniche, che conserva e diffonde (ora, con imponente operazione di digitalizzazione): accanto alle opere, anche attuali, figurano gioielli che risalgono alle origini della videoarte. Lory Zippay, storica direttrice e curatrice di Eai, ha presentato due opere, una di oggi e una di ieri: dalle metamorfosi visive di Binocular menagerie di Leslie Thornton (2014) si è passati alla proiezione di un prezioso lavoro ritrovato solo da poco, del 1968, che si credeva perduto, Assemblage (58’). Frutto della collaborazione fra Merce Cunningham e il cineasta Richard Moore, colonna sonora di John Cage, David Tudor e Gordon Mumma, documenta creativamente una performance di Cunningham e della sua compagnia in Ghirardelli Square a San Francisco e presenta una straordinaria serie di effetti – all’origine delle successive sperimentazioni, anche dello stesso Cunningham, con Charles Atlas e Nam June Paik. La videoarte, sotto le stelle di Fuso, ha avuto molto da raccontare.