La polizia filippina ha chiesto aiuto a unità navali ed elicotteri nella ricerca di Rolando del Torchio, un ristoratore italiano (ex missionario dal 2001), che alle sette di sera di due giorni fa è stato rapito a Dipolog City, «tranquilla» cittadina del Nord di Mindanao nel Sud delle Filippine.

Le navi seguono una pista indicata dall’intelligence secondo cui lo scafo con a bordo l’italiano si sarebbe diretto nella sua fuga verso Jolo, isola 400 chilometri a Sudovest e nota base del gruppo radicale Abu Sayyaf.

«Tutti i sequestri finiscono a Jolo», dice al filippino Inquirer il portavoce dell’esercito nella regione capitano Roy Vincent Trinidad, che sembra così dar ragione alla Procura di Roma che ha aperto un fascicolo di indagine in relazione al sequestro di Del Torchio: il procuratore aggiunto, Giancarlo Capaldo, vi ha ipotizzato il reato di sequestro di persona a scopo di terrorismo.
Ma è presto per dirlo se un’altra fonte locale – un alto funzionario di polizia – dice l’opposto:«Non si tratta di Abu Sayyaf». Miguel Antonio, che è a capo della polizia, sospetta piuttosto un gruppo locale. Quale?

La risposta per ora non c’è ma è nel fitto reticolo di una malavita che spesso adotta etichette politiche che potrebbe nascondersi il bandolo della matassa.
Il rapimento di Rolando del Torchio arriva a due settimane dal sequestro di tre occidentali e una donna filippina, prelevati da uomini armati dall’isola «resort» di Samal, a Davao del Norte. Era il 21 settembre.

Ma anche sul loro sequestro c’è prudenza nel mettere etichette. Secondo l’agenzia vaticana Fides, quello dei rapimenti è «un commercio fiorente. Un business che ha fruttato cospicui finanziamenti a bande criminali e a famigerati gruppi islamisti…una vera e propria «industria del riscatto» che prende di mira, soprattutto ma non solo, missionari, preti, turisti, imprenditori europei o occidentali.

Perché i «bianchi» sono gli ostaggi più redditizi. È un fenomeno non sempre ascrivibile agli islamisti, bensì con solidi addentellati nella politica locale, caratterizzata da clan e potentati. E ora – aggiunge l’organo di stampa molto ben informato sulle vicende locali – con l’avvicinarsi delle elezioni politiche, fissate a maggio 2016, i rapimenti a Mindanao potrebbero aumentare. Il fenomeno, infatti, è fiorente anche grazie all’endemico fattore della corruzione, nell’esercito come nella politica».
In vista delle elezioni del 2016, l’industria dei sequestri potrebbe insomma diventare una buona fonte di finanziamento per la campagna di qualche ras locale.

E se è pur vero che Mindanao ha una lunga storia di fazioni islamiste armate, è anche vero che le due maggiori organizzazioni – il Fronte Moro di liberazione nazionale e il più recente Fronte Moro di liberazione islamica – sono scese a patti col governo di Manila, grazie alla mediazione della Malaysia. Negoziato in salita ma che ha calmato le acque. Non però le mire del banditismo più o meno colorato.

Le bande seguono un copione ormai abbastanza tradizionale: quando la pressione delle indagini si allenta, si fanno vivi i negoziatori e chiedono il riscatto sempre che non decidano di «vendere» gli ostaggi a gruppi più organizzati. È nota anche la borsa valori dei sequestrati: fino a 15 milioni di peso per un locale e da uno a cinque milioni di dollari per uno straniero.