Mica i dati si possono sparare così, tanto per fare. Il presidente dell’Istat ieri ha frenato l’entusiasmo del governo sui 99 mila contratti in più registrati in marzo, mese di entrata in vigore del Jobs Act. «Non sono usciti dati sull’occupazione», ha spiegato Giorgio Alleva ai giornalisti che gli chiedevano un commento, ma «le comunicazioni obbligatorie (al ministero del Lavoro, ndr) che riguardano il numero di rapporti di lavoro e non necessariamente le persone».

«So che c’è un dato positivo in termini di bilancio tra attivazioni e cessazioni – ha continuato il presidente dell’Istat – ma credo che soltanto l’analisi del tipo di contratti e della loro durata e qualifica possa consentire di fare una valutazione aggiornata».

Si aspettano dunque i dati completi sull’occupazione e la disoccupazione di marzo, quelli che appunto dovrà dare l’Istat giovedì prossimo. Ma proprio questo dossier è stato rallentato negli ultimi giorni dalle assemblee dei lavoratori dell’istituto di statistica, in lotta dal gennaio scorso per il salario accessorio.

«Parliamo di una platea di circa 1400 persone sui 2200 dipendenti Istat, quelli con le qualifiche più basse e che da anni aspettano una progressione di carriera – spiega Lorenzo Cassata, Flc Cgil Istat – Il contratto del pubblico impiego è bloccato dal 2009, e c’è la minaccia che rimanga congelato nei prossimi 2-3 anni, ma anche l’integrativo è al palo: fermo dal 2010. Quindi, visto che almeno per quest’ultimo il blocco non è stato rinnovato, da gennaio siamo in lotta per averlo».

Si tratterebbe di aumenti di circa 100 euro al mese, cifra non stratosferica ma che fa comodo per stipendi sui 1200-1400 euro. Il presidente Alleva è andato a parlare in assemblea, ma i sindacati non ritengono «soddisfacenti» le sue parole. Dopo alcuni giorni in cui i ricercatori avevano aderito alle proteste, ieri sono stati “precettati” e portati a lavorare in sede centrale. Così da poter presentare (forse) i dati sul Jobs Act puntuali per giovedì.