Islam Karimov come il gatto di Schrödinger: non si sa se sia vivo o morto. L’autoritario e sanguigno leader che dal 1989 governa l’Uzbekistan con la spietata determinazione di un discendente del conquistatore Tamerlano è stato ricoverato domenica scorsa in ospedale per quella che il giorno successivo la figlia minore Lola Karimova-Tillyaeva ha dichiarato essere un’emorragia cerebrale.

Alcune ore dopo la rivelazione, il sito fergananews, oscurato in patria dal 2005, ha scritto, citando fonti anonime vicine al governo, che il presidente sarebbe morto alle 15:16, ora di Tashkent. In mancanza di notizie ufficiali le agenzie di stampa governative russe Interfax e Ria Novosti, che seguono da vicino le vicende uzbeke, lo definiscono «vivo» e in «condizioni stabili», mentre sui social media si azzardano le più disparate congetture sul suo effettivo stato di salute e sulla strategia messa in atto per celare una sua eventuale dipartita.

Aspettando di capire se ci si trova davanti a quello che gli esperti hanno battezzato «scenario alla Breznev», la cui morte venne annunciata dalle autorità sovietiche con due giorni di ritardo, è utile analizzare alcuni elementi che possono fornire un quadro più nitido di questa vicenda. Il primo è l’annuncio ufficiale del ricovero di Karimov fatto domenica. Un evento senza precedenti nella storia di un paese in cui i cittadini sono tenuti all’oscuro di tutte le questioni che riguardano il governo, e che potrebbe essere interpretato come la conferma che a Tashkent sta succedendo qualcosa di inedito, ossia l’effettiva scomparsa del podishoh, il re, come i suoi concittadini hanno imparato a considerare il loro leader. Altra ipotesi plausibile è che il presidente 78enne non sia morto ma che comunque non sia più in condizioni di guidare l’esecutivo e che l’annuncio sia servito a preparare la popolazione alla sua assenza alla Festa dell’indipendenza del primo settembre, quando il capo di Stato esegue il lazgi, la tradizionale danza folcloristica uzbeka.

Il secondo elemento di riflessione è rappresentato dalle parole pronunciate nel corso di un’intervista da Daniil Kislov, direttore di fergananews, che ha ricordato come Karimov abbia costruito un «sistema di potere estremamente stabile, basato sui servizi segreti». Uzbeko da parte di padre e tagiko da parte di madre, cresciuto in un orfanotrofio statale sovietico, Karimov ha studiato ingegneria meccanica a Tashkent, divenendo nel 1989 segretario del Partito Comunista dell’Uzbekistan e di fatto guida del paese ancora prima di sedersi sullo scranno presidenziale nel 1991 a seguito di elezioni ritenute da molti osservatori internazionali non democratiche. Nominato capo di Stato, grazie a un referendum nel 1996 ha esteso il suo mandato fino al 2000, quando ha riottenuto la maggioranza alle urne con oltre l’85 per cento dei voti, come anche nel 2007 e nel 2015, facendo carta straccia del limite dei due mandati presidenziali previsto dalla costituzione.

Violazioni dei diritti umani, soppressione della libertà di stampa e di espressione, torture, incarcerazioni arbitrarie, omicidi, deportazioni ed esili forzati: in 27 anni il leader ha dato prova di estrema spregiudicatezza, non esitando a utilizzare ogni mezzo a sua disposizione per consolidare il potere ed eliminare gli oppositori, in alcuni casi addirittura bolliti vivi, secondo le denunce di Amnesty International.

Per aiutare l’economia ogni anno Karimov costringe milioni di cittadini a lasciare per un mese la propria casa e il proprio lavoro per collaborare alla raccolta pubblica del cotone, di cui l’Uzbekistan è tra i maggiori esportatori al mondo. Nel 2013 ha fatto mettere agli arresti domiciliari la figlia maggiore Gulnara Karimova, imprenditrice, diplomatica, stilista e cantante pop che poco prima era stata indagata in Europa e negli Usa con l’accusa di aver ricevuto milioni di dollari in tangenti, in relazione ad appalti sulle licenze telefoniche in Uzbekistan.

E nel 2005 è stato il responsabile della strage di Andijan, quando l’esercito ha aperto il fuoco contro migliaia di manifestanti scesi in piazza per protestare contro l’incarcerazione di 23 imprenditori locali, accusati di essere terroristi islamici. Uno dei più efferati massacri della storia recente, con centinaia di vittime. In questo regime l’apertura della lotta per la successione è ormai inevitabile.

Secondo la migliore tradizione sovietica sarà un «scontro di lupi sotto il tappeto», come lo ha definito Kislov.

La costituzione uzbeka prevede che in caso di impedimento non temporaneo del capo di Stato i suoi poteri vengano assunti dal presidente del Senato e che dopo tre mesi si tengano nuove elezioni. Il problema è che prima di aprire le urne la dirigenza di Tashkent dovrà designare il vincitore. Non avendo Karimov figli maschi, uno dei successori più probabili è Shavkat Mirziyoev, l’attuale premier, personaggio gradito anche all’influente moglie del leader, Tatyana Akbarovna.

Il suo diretto rivale, il vicepremier e responsabile delle Finanze Rustam Azimov, secondo alcune voci sarebbe stato arrestato. Resta una terza importante figura, quella di Rustam Inoyatov, capo del Snb, la risposta uzbeka al Kgb, chiave di volta della solida cupola di potere messa in piedi da Karimov e studiata per resistere anche dopo la sua morte.