A Palermo c’è una sala cinematografica, pubblica, tecnologicamente ben attrezzata, disponibile a chiunque ne faccia richiesta per iniziative culturali. Disegnata da un progettista fantasioso negli anni 2000, è stata costruita con fondi regionali ed europei, aperta nel 2008 per una decina di giorni poi chiusa per quattro anni e rimossa dalla memoria collettiva. Nel 2012 è stata riaperta dal movimento I cantieri che vogliamo che ha denunciato lo scandalo di quello spazio inutilizzato – come tanti altri a Palermo. Uno spazio sulla carta perfettamente funzionante eppure ancora senza nome, e subito intitolato dal movimento a Vittorio De Seta, con il sogno di riempire un vuoto grande come un baratro a Palermo: quello di un cinema d’essai, di una sala che completasse il lavoro delle sale commerciali dando spazio alla storia del cinema, ai circuiti indipendenti, ai film in versione originale con sottotitoli, al cinema d’autore.

Non era complicato: il cinema De Seta si trova ai Cantieri Culturali alla Zisa, un’ex area industriale di oltre 55.000 mq riconvertita a fini culturali dove oggi hanno sede tra gli altri l’Accademia di Belle Arti, l’Istituto Gramsci, l’Institut français, il Goethe Institut, la sede siciliana del Centro Sperimentale di Cinematografia. I Cantieri alla Zisa sono una delle eterne scommesse della città di Palermo, soggetti a un moto ondivago di entusiasmo e abbandono. I proclami della nuova amministrazione di centro-sinistra lasciavano ben sperare per l’esito di questa storia: rafforzare il progetto dei Cantieri Culturali per sottrarlo alle contingenze politiche e farne un vanto della città, aprendosi a forme di sperimentazione che guardassero alle esperienze delle più grandi città europee. Non si può dire che così in parte non sia stato, forse in modo un po’ raffazzonato, per certi versi entusiasmante, per altri senza dubbio insoddisfacente. Ai Cantieri hanno avuto sede manifestazioni di vario tipo e dimensione – dal Pride nazionale alla tragicomica vicenda di ZAC, uno spazio destinato all’arte contemporanea che ha coinvolto decine di artisti in un progetto di gestione poi abbandonato alla svelta e attualmente in fase di ripensamento – ma ad oggi non esiste ancora un sito internet che ne promuova le iniziative, e i profili facebook e twitter sono in stato di abbandono; non pare esserci una progettazione di lungo termine, definita e comunicata con chiarezza; non c’è un solo punto di ristoro, né mezzi pubblici dedicati specificamente a rendere vitale un luogo che si trascina da tempo motu proprio. La risposta dell’amministrazione è chiara: non ci sono soldi e c’è bisogno di tempo per costruire un progetto strutturato. Nel frattempo si naviga a vista.

L’assessore alla cultura annuncia dunque la creazione di una fondazione per i Cantieri Culturali entro l’estate: uno strumento più snello, capace di far fronte in maniera più rapida alle tante esigenze di uno spazio così articolato. A dirla tutta l’annuncio era già stato fatto dal sindaco l’estate scorsa. Ma se è vero che quella della fondazione potrebbe essere una via, la questione riguarda meno il contenitore che la sua costruzione. Qualunque esso sia, affinché venga eretto su solide fondamenta, occorrerebbe aver già avviato un percorso di consultazione pubblica con le varie realtà cittadine (in primis quelle residenti ai Cantieri stessi) che animano in modo slegato, anarchico e forse proprio per questo vivace la vita culturale della città. Una città che oggi non può vantare fasti o presumere di eccellere, ma che vive (nonostante le tante aspettative disilluse) una stagione di fervore.

Un fervore che proprio sul Cinema De Seta dovrebbe fare perno per far ripartire il progetto dei Cantieri culturali alla Zisa e imporsi a livello nazionale ed europeo. L’ipotesi di costruire a Palermo un polo importante per la fruizione e la promozione della cultura cinematografica sembrerebbe essere già lì, realizzabile con il minimo sforzo. Eppure tutto procede con tempi elefantiaci, dimostrando una disattenzione colpevole nei confronti della questione, solo parzialmente giustificabile con la carenza di fondi. Nei mesi scorsi sono transitati dal De Seta registi come Sylvain George, Daniele Incalcaterra, Eyal Sivan, Alain Guiraudie, Abel Ferrara, Franco Maresco e molti altri, a distanza di poche settimane. Il tutto quasi sempre grazie all’iniziativa di associazioni o enti privati, nei casi più fortunati con un minuscolo finanziamento da parte del Comune. A un centinaio di metri dal Cinema ho assistito a incontri con giganti come Luc Moullet o Terry Gilliam presso il Centro Sperimentale di Cinematografia, oggi diretto da Roberto Andò, i cui docenti sono tra i maggiori documentaristi italiani, ma della cui presenza non si approfitta mai abbastanza. Il Goethe Institut e l’Institut français, insieme all’Instituto Cervantes che ha sede nell’antico mercato della Vucciria, svolgono da anni un’attività di promozione cinematografica insostituibile, quasi l’unica che consente la visione di film in versione originale a Palermo: ma solo da poco, e in maniera altalenante, hanno spostato le loro attività all’interno del Cinema De Seta (che nelle prossime settimane ospiterà, tra l’altro, una retrospettiva alla presenza di Margarethe von Trotta e la quinta edizione del festival Rendez vous). Ci sono almeno quattro festival cinematografici che hanno fatto rete e organizzano iniziative costanti sul territorio. Esisterebbe anche un’Università degli Studi, colpevolmente assente dalla promozione della cultura cinematografica, e moltissimi studenti che frequentano l’Accademia di Belle Arti ai Cantieri Culturali potrebbero – in presenza di un’offerta e di strutture minime – approfittare della programmazione del Cinema De Seta a due passi dal luogo di studio. Hanno sede a Palermo una Filmoteca regionale, una Film Commission e da qualche mese anche un Ufficio Speciale per il Cinema e l’Audiovisivo. Molte di queste strutture non hanno certo l’obbligo di partecipare alla costruzione della programmazione di un cinema, ma oltre ad aver esercitato una funzione importante nel corso degli anni rappresentano un humus significativo esistente sul territorio. Per non parlare di altre associazioni culturali, archivi privati, singoli cittadini, professionisti del cinema che a Palermo vivono, lavorano o tornano spesso. Non so quante città d’Italia condividano una condizione simile.

Ci troviamo di fronte a uno spazio che ha già un cuore ma non ancora un’anima. Una sala con una vocazione, un’identità in costruzione, una risposta attenta da parte del pubblico della quinta città d’Italia a fronte di una quasi totale carenza di offerta strutturata e di una fatale assenza di comunicazione, tutta sulle spalle dei singoli proponenti. Una struttura che manca di una direzione e di un coordinamento, che già da soli basterebbero a garantire una programmazione stabile, comunicata puntualmente e con efficacia. L’estate scorsa l’esperimento di un’arena cinematografica all’aperto ha portato ai Cantieri ogni sera centinaia di persone a una rassegna che proponeva cinema italiano contemporaneo e un focus sul regista sudcoreano Hong Sang-soo. Non si faceva da anni.

L’irredimibilità di sciasciana memoria sembra essere ormai un comodo alibi. Ci troviamo di fronte a una situazione in cui il cinema potrebbe rappresentare un potente strumento di attrazione turistica nonché un forte elemento di coesione sociale in una delle città più frammentate d’Italia. Esperimenti simili sono stati portati avanti in città come Torino, Bologna o Bergamo, che hanno investito sulle risorse presenti sul territorio per costruire progetti strutturati che sono oggi punti di riferimento non soltanto in Italia. Palermo si guarda sempre alle spalle con nostalgia e raramente fa esercizio di memoria per realizzare un futuro stabile, ma nemmeno riesce a guardarsi allo specchio per confessarsi di trovarsi in questo caso di fronte a una contingenza straordinaria, e anche a un bivio fondamentale: credere in questo cammino o farlo estinguere lentamente. Se fossimo nella Francia degli anni Sessanta – sia consentito l’ardito paragone – la situazione del Cinema De Seta e delle sue potenzialità non sfruttate ricorderebbe l’affaire Langlois per la cui rimozione dalla Cinémathèque il mondo del cinema e della cultura scese in piazza. A Palermo questo non è possibile, perché si rimane spesso un passo indietro la creazione di qualcosa che lasci un segno. Affinché non si guardi a questi anni come all’ennesima occasione sprecata non si deve allora subordinare la questione del De Seta a una risoluzione definitiva dei problemi della città, come pare trapelare dalle dichiarazioni dell’amministrazione; né ci si deve accontentare dell’utilizzo sporadico che se ne fa oggi, per lo più come sala conferenze – senz’altro meno problematica. Occorre consapevolezza, coraggio, immaginazione. La storia del Cinema De Seta è tutta da scrivere, e può essere una storia importante. Una discussione pubblica, non solo cittadina, sarebbe un ottimo punto di partenza.