Il governo scozzese a guida Scottish National Party ha appena pubblicato una proposta di legge per indirne un secondo referendum sull’indipendenza scozzese dalla Gran Bretagna, dopo quello, già perduto, del 2014.

Il documento, la cui presentazione faceva parte del manifesto elettorale con cui lo Snp ha prima sbancato le elezioni politiche britanniche del 2015 e poi è tornato per la terza volta al governo a Holyrood – la sede del parlamento scozzese a Edinburgo -, nel maggio scorso, contiene proposte circa la regole della campagna elettorale, della consultazione stessa e dello spoglio. Diversamente da quello sulla Brexit, vi sarà data la possibilità di votare ai sedicenni e ai cittadini dell’Ue che vivono in Scozia, mentre il quesito resterà simile a quello del 2014: La Scozia dovrebbe essere un paese indipendente? Non è previsto quorum; quanto alle date, Sturgeon ritiene spetti di fissarle a Holyrood, dove l’Snp ha una risicata maggioranza in coalizione coi verdi.

La consultazione pubblica della bozza, che verte esclusivamente su questioni tecniche e non sulla liceità in sé del voto, durerà fino all’11 gennaio 2017. Già giorni fa Nicola Sturgeon, prima ministra scozzese e leader della maggioranza parlamentare nazionalista, aveva finalmente annunciato, nel tripudio dell’assemblea congressuale, quello che una larga fetta dell’elettorato e dei militanti del suo partito volevano sentirle più che mai proclamare: la Scozia si sarebbe concessa un secondo referendum secessionista. Un diritto inalienabile agli occhi dei nazionalisti, soprattutto dopo l’esito del referendum che ha sancito la Brexit: l’eurofila Scozia ha sonoramente ripudiato l’uscita dall’Ue con un perentorio 62% di voti per il remain, in controtendenza con l’esito fatto registrare da Inghilterra e Galles.

Riferendosi al tenore dei recenti, focosi annunci di Theresa May sulla probabilità di una cosiddetta «Hard Brexit», scenario che vedrebbe il Regno non troppo Unito piombare fuori del mercato unico vista la risolutezza nel rifiutare la libera circolazione di uomini e merci, principio fondante dell’Ue neoliberale, Sturgeon scrive nella sua prefazione al documento: «Le recenti dichiarazioni del governo britannico circa il suo approccio all’uscita dall’Ue suscitano motivo di seria preoccupazione per il governo scozzese. Ci troviamo di fronte a inaccettabili rischi per i nostri interessi democratici, economici e sociali e per il diritto del parlamento scozzese di esprimersi». Non è ancora detto che il referendum si terrà, vista la posizione della controparte inglese: May non ritiene che ci siano gli estremi di un mandato per una seconda convocazione referendaria, e potrebbe bloccarla. Molto dipenderà dalla piega che prenderà il divorzio dall’Ue, soprattutto riguardo il mercato unico, massima fra le preoccupazioni scozzesi.

Tuttavia, Sturgeon non è baldanzosa come vorrebbe: sa bene che l’opinione pubblica scozzese ha raffreddato i propri spiriti indipendentisti e il fronte unionista è in vantaggio nei sondaggi. Sa anche meglio che una terza chance non ricapiterà almeno per una generazione e dunque questa volta la sconfitta non è ammissibile. E sa, infine, perfettamente che l’Ue stessa non accoglierebbe affatto Edinburgo a braccia aperte, nel timore di doverlo fare anche con Barcellona e altri. Per questo ora cercherà di negoziare con Londra la possibilità che la Scozia mantenga accesso al mercato unico.