In una strada in salita come è quella della legalizzazione della cannabis, già l’essere riusciti a portare la legge nell’aula di Montecitorio è un passo avanti. Significa che il tema non potrà più essere tenuto nascosto prolungando all’infinito la discussione in commissione. E che in autunno sarà all’ordine del giorno non solo a Montecitorio ma nel paese intero. L’irritazione della destra, nonostante abbia i numeri a proprio favore alla camera e certamente al senato, è eloquente. «È indecente e inaccettabile che su un tema su cui si gioca il diritto alla salute si porti il testo in aula senza mandato al relatore e senza che sia stato discusso nelle commissioni competenti», sbotta Brunetta. Come se non sapesse che la forzatura è conseguenza delle manovre per paralizzare il ddl in commissione.

La legge era stata calendarizzata ieri a Montecitorio grazie a un accordo dell’intergruppo favorevole al ddl. Sinistra italiana ha messo a disposizione lo spazio della propria quota mensile per consentire alla legge di uscire dalle secche della commissione e ha accettato di proporre non la propria legge ma quella comune, che ha per primo firmatario Roberto Giachetti ed è sottoscritta da 221 deputati. In realtà i favorevoli sono di più, perché per una quantità di motivi tecnici non tutti compaiono nell’intergruppo. Di Si, ad esempio, ci sono 24 firme invece di 31, quanti sono i deputati. Nel Pd spaccato hanno per ora sottoscritto il testo 85 deputati, la pattuglia più numerosa è quella dell’M5S, con 87 firme, ma figurano anche ex grillini, civatiani, deputati di Scelta civica e due forzisti. L’incrinatura nel fronte della destra però è minima. Tutta l’antica Casa delle libertà si è compattata come forse mai in precedenza per bloccare una legge che renderebbe la vita più difficile ai trafficanti, come ha sostenuto ieri su Repubblica Roberto Saviano. Non sono toni da critica politica ma da crociata quelli della destra, dalla Lega all’Ncd passando per Fi. Alfano è categorico: «Diremo sempre no alla legalizzazione della cannabis». Giovanardi giudica «irresponsabile legalizzare a scopo di divertimento». Costa, ministro con delega alla famiglia, è convinto, in base a una logica tutta sua, che la legalizzazione contraddica «gli sforzi a sostegno delle famiglie». I leghisti si affidano alla facile retorica: «Invece di pensare ai problemi del Paese il governo si droga».

A tante parole corrispondono quasi altrettanti emendamenti. Solo l’Ncd ne ha presentati 1300, con le aggiunte dei gruppi di opposizione di destra si arriva a duemila. Di conseguenza a settembre la legge dovrà tornare in commissione. Dopo quel passaggio tornerà in aula, ma i tentativi di rinviare il più possibile e comunque a dopo il referendum saranno irruenti. Maurizio Gasparri già canta vittoria: «Abbiamo sbaragliato il fronte pro legalizzazione». Il capogruppo di Si, Scotto, è meno pessimista: «I favorevoli sono più dei 221 firmatari. Non escludo che a settembre possano crescere ancora. In ogni caso l’aver portato il ddl in aula è un risultato importante». Giachetti la pensa allo stesso modo: «Se la legge arriva a essere incardinata in aula vuol dire che ha superato tantissimi ostacoli a cominciare da quello più grave: il pregiudizio politico». E Pippo Civati annuncia: «L’epoca di Giovanardi è lontana. È arrivata finalmente in aula una proposta che può aprire una stagione diversa».

È senz’altro vero che portare una legge di tale portata in aula è di per sé un risultato positivo. Ma è anche vero che la vicenda dimostra quanto pesi il ricatto dei centristi. I ministri Ncd, da Alfano a Costa a Lorenzin, sono andati all’arrembaggio. Quelli del Pd sono rimasti muti. Il governo al termine della seduta di ieri non si è espresso, ma quando alcuni ministri tuonano e altri tacciono la «non esposizione» ha il sapore di una resa. Non a caso Alfano rivendica i risultati del suo condizionamento: il no all’equiparazione tra matrimoni etero e omosessuali, il blocco delle adozioni per le coppie gay. Non aggiunge per diplomazia, ma potrebbe farlo, l’affondamento della legge sul reato di tortura. Se sul piano dei diritti sociali il Pd non ha bisogno di aiuti per fare strame, su quello dei diritti civili, dove del resto è diviso, ci pensano gli alleati a impiombare tutto.