Il mondo umano è politeistico e l’essenza dell’uomo è quella di essere «homo religiosus». Ossia produttore seriale di entità divine a cui sottomettere buona parte della propria libertà e in cui riporre speranze di salvezza eterna.

Quando queste entità divine vengono collocate nella trascendenza, in un aldilà ineffabile e impensabile (ma solo pronunciabile in punta di pensieri), forse è proprio la volta in cui i fedeli mettono meno a repentaglio la propria libertà.

È quanto si può evincere dalla speculazione a-sistematica, oscura e coscientemente «paratattica» del filosofo tedesco Theodor Ludwig Wiesengrund-Adorno, cui lo studioso Mauro Bozzetti dedica una monografia agile ed essenziale, ma con il grande pregio di portare un po’ di chiarezza là dove l’oscurità sembra voler imporre la sua musica apparentemente senza parole (Adorno, Editrice La Scuola, pp. 127, euro 9,90).
Del resto, ci troviamo di fronte al filosofo e sociologo convinto che dopo Auschwitz la filosofia non può più (né deve) presentarsi in forma sistematica e chiara, poiché insieme alla più grande ferita per l’umanità si era consumata anche la distruzione della ragione, entrambe conseguenze di una realtà oggettiva frantumata in seguito alla morte di Dio.

Dopo il tragico fulgore esploso con la Shoa, una tenda scura è scesa a coprire il proscenio dell’umanità, e chiunque intenda tentare di rappresentare una porzione di verità in quel teatro offeso e insanguinato, non può per Adorno che ricorrere al linguaggio frammentario e asistematico degli aforismi.

Quello di Adorno, insomma, è un linguaggio coscientemente e volutamente oscuro ed evocativo, capace di disvelare qualche lampo di verità solo attraverso una parola che si fa arte.

In effetti, scriveva il filosofo, «la grandezza di un’opera d’arte sta soltanto nella sua capacità di far percepire quello che l’ideologia nasconde», e non è un caso che il III Reich, culmine dell’ideologia assurta al ruolo mefistofelico di falsa coscienza, «non ha prodotto alcuna grande opera».

Dio è morto, certo, è da questo angoscioso fondamento che si dipana tutta la speculazione di Adorno. Ma a dover continuare la propria esistenza dolorosa e sempre in bilico è l’«homo religiosus», che proprio per questo non smette mai di ricercare e produrre nuove divinità a cui affibbiare il potere (e l’intenzione) di recare conforto alla sua esistenza.

È proprio la caduta del Dio trascendente a rendere manifesto e incontrastato il trionfo di quella ragione tecno-strumentale che è figlia dell’Illuminismo.

Va letta in quest’ottica la celebre apertura di Dialettica dell’illuminismo (il più famoso testo adorniano uscito nel 1947 e composto insieme a Max Horkheimer): «Quanto ci eravamo proposti era nientemeno che comprendere perché l’umanità, invece di entrare in uno stato veramente umano (con la comparsa dell’illuminsmo, n.d.r.), sprofondi in un nuovo genere di barbarie».

Adorno e Horkheimer non dubitavano della spinta emancipativa prodotta a livello sociale dal pensiero illuminista. Questo aveva liberato l’umanità dalla superstizione e dall’accettazione passiva delle credenze religiose, concedendo alla scienza una nuova legittimazione razionale. Ma al contempo lo stesso illuminismo non è riuscito a combattere le spinte regressive interne che impediscono la piena realizzazione del suo programma fondante: l’emancipazione dell’essere umano dalla sua condizione di minorità rispetto a delle tutele superiori.

In questo senso il soggetto illuminista, la nuova morale borghese, che poi è quella pienamente realizzatasi nella nostra epoca, in cui a dominare è la teologia economica, risulta agli occhi di Adorno più pericoloso delle vecchie classi dominanti aristocratiche.

Questo perché il soggetto della globalizzazione neoliberale non si fa alcuno scrupolo a liquidare il «sogno metafisico», votandosi anima e corpo ai moderni surrogati della divinità trascendente: «l’industria culturale illuminista diviene in sé qualcosa di metafisico – chiosa Bozzetti – che va creduto acriticamente».

In questo senso, molteplici sono quei passi in cui Adorno si è schierato contro la sostituzione della metafisica con surrogati ideologici finalizzati a indebolire il pensiero autonomo e critico dei cittadini, sostanzialmente con lo scopo di relegarli al ruolo di masse informi dedite esclusivamente alla produzione e al consumo.

Da qui emerge con nettezza il principio di fondo che ispira l’opera adorniana: un po’ come denunciato dal grande inquisitore dei Fratelli Karamazov, l’uomo affetto da uno stato di minorità non è mai alle nostre spalle. Non lo era l’uomo del medioevo ma ancor meno lo è l’uomo dei lumi, che come il suo predecessore (e forse ancora di più) è capace di atti radicalmente barbarici sotto la guida della ragione scientifica.
Ieri si trattava della divinità trascendente in nome della quale si stabilivano re e imperi, oggi è la divinità terrena del sistema tecno-finanziario (mercato e mainstream mediatico), perfettamente in grado di strumentalizzare l’essere umano in vista di scopi che non sono i suoi. E non mirano al suo bene.